Darwin: il più forte è chi si adatta
Progresso e tecnologia non implicano necessariamente la superiorità. L’esistenza offre situazioni dove la presunta arretratezza poggia sulla solidità della tradizione e su di uno spirito di adattamento che può risultare vincente.
La guerra è sicuramente strategia, ma da quando la superiorità tecnologica ha dato la percezione che armi più sofisticate potessero risultare decisive in uno scontro, combattere è diventata non solo una questione di coraggio, ma anche di ostentazione della superiorità culturale di un popolo. Questo è il presupposto del borioso Lord Chelmsford, che ritiene prioritario smembrare il regno degli Zulu, per evitare che la Colonia britannica del Natal possa essere ostacolata, non solo in termini di una potenziale invasione territoriale, ma anche nella realizzazione di una società industriale e ricca.
Siamo a circa vent’anni dall’uscita de L’origine della specie di Charles Darwin. Gli Inglesi hanno erroneamente interpretato questo libro, utilizzandolo col pretesto ideologico che evoluzione sia un sinonimo di progresso. In realtà, gli spunti di Darwin non hanno mai evidenziato due aspetti che sono ben presenti nel film. Anzitutto l’esercito britannico presume di essere più forte degli Zulu. Questa certezza di vincere deriverebbe da un livello culturale più avanzato, cui corrisponderebbero sia una logistica che una qualità strumentale più elevata. I britannici hanno stivali in pregiato pellame, rasoi, divise e mostrine, fucili a retrocarica, cavalli, cucine, fabbricati, tende e secoli di studi tattici sulla guerra. I loro ufficiali pasteggiano e dialogano in merito alle notizie dei quotidiani che si fanno recapitare dalla madrepatria, come se fossero in un club londinese.
Ai rozzi Zulu non resta che combattere scalzi e seminudi, utilizzando scudi che intrecciano legno leggero e pelle di bovini. Le loro lance corte non sono nemmeno efficaci per poter esser scagliate: persino un legionario romano aveva un repertorio di armi migliori.
Dunque la vittoria è certa. Viene recapitato un ultimatum al re degli Zulu, Cetshwayo, ma è una provocazione mista a farsa. Lo scontro dovrà essere epocale, dovrà dare sfoggio di un grande spiegamento di forze. Sarà esemplare per tutti coloro i quali oseranno opporsi allo strapotere nelle battaglie campali delle giubbe rosse. Per gli storici il luogo e la data sono ben noti: Isandlwana 1879. Peccato che sia Cetshwayo che Darwin la pensino diversamente. Gli Inglesi non si rendono conto che stanno per combattere quanto meno alla pari con quel popolo ritenuto primitivo. Infatti, l’evoluzione darwiniana non significa affatto progresso ed avanzamento tecnologico, ma capacità di sopravvivenza e di miglioramento di una specie, che deriverebbero dall’adattamento ad un habitat e ad un territorio. Gli esseri umani non fanno eccezione e gli Zulu sanno bene come muoversi nella loro terra. Hanno compreso che un attacco diretto contro i fucilieri invasori non è vantaggioso, e cominciano ad utilizzare la tattica della guerriglia. Hanno nascosto abilmente il loro reale numero, facendo immaginare di essere supportati da una quantità di guerrieri dieci volte inferiore. In più hanno separato in vari rami l’esercito nemico, indebolendo il volume di fuoco degli avversari. Interpretare a proprio vantaggio la presenza di fiumi, il torrido sole, l’asperità del terreno, denotano ancor di più la loro conoscenza delle corrette modalità di adattamento alle situazioni di combattimento: molti soldati inglesi saranno tormentati da colpi di calore e giungeranno stremati allo scontro. La capacità di riuscire ad apprendere in termini rapidi degli Zulu è ancor più sorprendente ed è testimoniata anche dal fatto che imparano rapidamente ad usare i circa mille fucili sottratti al nemico. Ma le vicende narrate nel film sono ancora più profonde se si ragiona sul fatto che la presunta superiorità inglese risiederebbe anche in un livello più avanzato della loro civiltà in chiave etica e culturale, nell’ambito anche di quelli che sono i diritti umani e la mera capacità di saper leggere e scrivere per tramandare le vicende avvenute. Mentre i colonizzatori europei torturano alcuni Zulu precedentemente catturati, Cetshwayo pronuncia un discorso straordinario. Il suo popolo deve combattere per un diritto inalienabile, la necessità di non essere dominati e di poter scegliere liberamente come governare le loro terre. Gli invasori non hanno mantenuto fede alle loro promesse e vogliono solo appropriarsi dei frutti del loro lavoro.
L’avanzato e civilissimo Occidente chiamerà questo principio autodeterminazione dei popoli, e giungerà al valore di questa conclusione almeno cinquant’anni dopo, in seguito al disastro della Prima Guerra mondiale. Più che mai Darwin riterrebbe molto più evoluti gli Zulu rispetto allo scontro che si apprestano ad affrontare, in funzione del paradigma di una maggiore capacità di adattamento al contesto di guerra, dove sono quantomeno alla pari, considerando non solo l’equilibrio delle forze in campo, ma tutti i fattori che possano portare a vincere o perdere una battaglia.
PARERGA E PARALIPOMENA
La rabbia dei primitivi
Il pugilato è chiamato “la nobile arte” per l’eleganza e la tecnica con la quale vengono sferrati i colpi. La brutalità di un pugno è stata vista sempre come una sorta di degenerazione di un istinto alla lotta che la pratica della boxe dovrebbe reprimere. Gli Italiani ricordano bene quanto questo scontro fra eleganza e rozzezza fosse ben evidente nell’incontro tra Nino Benvenuti e Carlos Monzon. Il primo era bello, forbito, elegante, inimitabile nelle sue combinazioni, con una storia personale di vittima dell’esodo giuliano-dalmata che risultava commovente. Leale e fedele alla pratica sportiva come allo spirito olimpico, al punto tale da vincere l’oro nel 1960 a Roma. Di Monzon si sapeva poco. Tratti del volto spigolosi, marcati. Carattere schivo. Poco fioretto e tanta potenza nell’uso approssimativo dei suoi colpi. Carlos portava dei pugni a metà strada tra un montante ed un gancio, condensati nei suoi 72 chilogrammi che, obiettivamente, non potevano spaventare il grande pubblico. Ma quell’uomo della giungla, come lo definivano i telecronisti dell’epoca, diede più di una volta una lezione sul ring a Benvenuti, che a differenza dei popoli colonizzatori dell’Africa, accettò di buon grado il verdetto dei match che lo videro soccombente. Quando un uomo ritenuto primitivo viene armato della forza della disperazione, nessun traguardo gli sarà negato e la sorpresa, data dall’imponderabilità della sua reazione e della rapida capacità di adeguarsi agli avversari, sarà ancora più grande. Nel 1896, la battaglia di Adua dimostrò nuovamente che gli eserciti europei non erano invincibili quando affrontavano le popolazioni che erroneamente chiamavano primitive. Non sapremo mia chi è stato l’artista etiope che ha rappresentato lo scontro che segnò la fine delle ambizioni italiane sul Corno d’Africa ed anche l’inesorabile declino del governo di Crispi. In questo dipinto custodito al primo piano del British Museum, c’è un condensato di rabbia e furore, di chi è stato sottovalutato e per questo motivo presuntamente costretto a subire un ingiusto dominio.
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Scheda del film
Regia
Douglas Hickox
Titolo originale
Zulu Dawn
Durata
113 minuti
Genere
Guerra, storico
Data di uscita
1979
Dettagli dell’opera
Titolo
Battaglia di Adua
Autore
Artista anonimo etiope
Tecnica
Olio su tessuto in cotone
Realizzata nel
1940
Ubicazione