La febbre dell’oro: l’uomo è ciò che mangia
Pensare ed agire. Universi in contrasto che non devono necessariamente essere correlati. Non a caso, la prima facoltà e appannaggio della mente, la seconda viene attuata dal corpo. In un’ottica di rivendicazione dei propri diritti, i due mondi del pensiero e dell’azione sono finalmente correlati
Ispirato dalle cronache dell’epoca e da vicende biografiche vissute in casa di amici, Chaplin ci consegna Charlot alle prese con un progetto che ha accomunato centinaia di uomini: fare fortuna alla ricerca dell’oro, avventurandosi tra le acque ed il ghiaccio del Klondike. La febbre dell’oro è un tributo a quell’illusione collettiva di un facile arricchimento. L’entusiasmo dei cercatori si spegneva con estrema facilità tra freddo e pericoli di ogni tipo.
Non era l’unico fuoco a estinguersi. La carenza di legna rendeva inutili le stufe in ghisa degli alloggi nei pressi del fiume Yukon. Il freddo e la fame non sono i protagonisti solo di queste vicende. Per estensione la condizione umana di povertà, disadattamento e miseria è il tema forte di tutta la narrazione, che sfocia nel conflitto per procacciarsi il cibo.
Forse la scena più nota del film è quella in cui Charlot fa bollire una scarpa, per poi condirla e mangiarla. Il richiamo è a degli eventi realmente occorsi a dei cercatori d’oro. Ma vale la pena ricordare uno dei più noti aforismi del pensiero occidentale: l’uomo è ciò che mangia. Cosa intendeva Ludwig Feuerbach, esponente della Sinistra hegeliana, con queste parole? In fiere, kermesse, eventi, tavole rotonde e recensioni enogastronomiche si sottolinea come lo stesso Feuerbach volesse evidenziare che il buon gusto e la ricercatezza la fanno da padrona a tavola.
Cibo e cultura sono un binomio indissolubile. In realtà, questa accezione, oggi molto in voga, non è esattamente il messaggio che questo filosofo voleva trasmettere. Siamo in pieno fervore socialista, in un periodo in cui i lavoratori cominciano a prendere consapevolezza degli stenti che vivono. Questo non è solo un breve aforisma, ma il titolo di un saggio del 1862: Il mistero del sacrificio, ovvero l’uomo è ciò che mangia. Siamo anzitutto carne ed ossa e quello che ci nutre e tiene in vita è la base di questa sostanzialità fisica. In secondo luogo, le comunità umane prescrivono norme etiche ed antropologiche attorno al cibo: divieti, proibizioni, tipicità e riti ruotano attorno a quello che si mangia.
Infine, nutrire la materia in fondo è anche nutrire la propria dimensione intellettuale che non è svincolabile dal corpo: anche chi deve fare la rivoluzione ha bisogno di ottime idee e di una carcassa fisica per lottare. Charlie Chaplin ha colto l’essenza dell’impostazione materialista di Feuerbach in pochi istanti. Per quanto spirituale e religiosa possa essere la natura umana, essa non può prescindere dalla sua natura fisica. Feuerbach non sta rimarcando l’attacco al Cristianesimo, tema dei suoi scritti più noti. In modo molto lineare ci fa comprendere come pensare, studiare, concettualizzare, dedicarsi all’arte, alla musica ed anche al cinema sia un privilegio concesso ha chi ha la pancia piena.
In sintesi: mangiare, magari anche con piena soddisfazione di gusto e desiderio alimentare, è la base del futuro pensare. A questa riflessione sarà giunto lo stesso Chaplin, non fosse altro che per il fatto che la scarpa che ha gustato era di liquirizia. La scena venne girata più volte, provocandogli un’indigestione memorabile.
PARERGA E PARALIPOMENA
Non si gioca col cibo
Un vecchio adagio, non solo della nostra cultura. Giocare con quello che si mangia, vuol dire sprecarlo, ridurlo irrimediabilmente a qualcosa che non è più oggetto di sacrificio e di superiorità. I frutti del mare e della terra sono da sempre stati sacrificati e concessi alle divinità, talvolta bruciati, affinché potessero raggiungere sottoforma di soave odore il cielo. Nel Cristianesimo si prega prima di pranzare o cenare, ringraziando Dio per quello che compare sulla propria tavola. Viceversa, la desacralizzazione del cibo è sempre correlata alla secolarizzazione o alla superiorità ed allo sfarzo di chi si può permettere di utilizzare tutto quello che mangia, fino allo spreco ed all’ostentazione. Allo stesso modo, attività ritenuta privata e non pubblica, quando si mangia qualcosa in modo isolato, non bisogna farlo vedere agli altri. Potrebbero commiserare la frugalità del pasto: ecco che un banchetto non può che essere molto abbondante. Potrebbero entrare in quel gioco tra cibo ed eros che non è il caso di comunicare al prossimo e che è bene che resti tra quattro mura, tra due amanti. Proprio a partire dal XVI secolo, sfarzo e ricchezza potevano essere conciliati attraverso l’arte, anche in oggetti di uso quotidiano. Del resto, chi non era protestante, come Francesco I di Francia, poteva permettersi tranquillamente di evitare la morigeratezza e di rappresentare col lusso il proprio potere. Ne è un esempio la straordinaria saliera di Benvenuto Cellini. Oggetto di estrema raffinatezza, vuole rendere omogeneo il ruolo dell’uomo e della donna, rappresentando Poseidone e la Terra. Dal loro incontro viene il sale, la base di quel condimento che proviene da due divinità che non sono più nel Pantheon, ma si trovano tra i mortali, anzi al servizio di un re.
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Scheda del film

Regia
Charlie Chaplin
Titolo originale
The Gold Rush
Altri titoli
La Febbre dell’oro
Durata
96 minuti
Genere
Commedia.
Data di uscita
1925
Dettagli dell’opera
Titolo
Saliera di Francesco I di Francia
Autore
Benvenuto Cellini
Tecnica
Ebano, oro e smalto
Realizzata nel
1543
Ubicazione