Uomini senza qualità
I giovani senza un impiego sono spesso valutati come pigri ed inetti. Talvolta in alcuni ragazzi si celano delle doti che non sono riusciti ad esprimere in alcun campo della vita.
Walter Verra ha un cattivo rapporto col padre, che lo accusa di non avere una fidanzata pur non essendo omosessuale, di non essere né comunista né borghese, di non essere sostanzialmente un ragazzo ordinario perché non vuole esser tale e non perché non vi riesce.
A questo contrasto si aggiunge quello con la propria madre, affetta da una sorta di mutismo selettivo. L’indefinibile natura di questo giovane si sostanzia in una perenne impossibilità di poter descrivere, in modo netto, la sua personalità e le sue scelte. Ragioniere che non calcola e che studia filosofia, ancora vergine ma non asessuato o indifferente alle donne, né ostile né vicino alla Torino in cui vive.
Oggi lo chiameremmo un Neet, acronimo di Not in Employment or in Education or Training, insomma un giovane nullafacente che non lavora, non studia e non si forma ad un futuro professionale. Ma siamo sicuri che Walter, che ha anche un colore di capelli non omologabile e con delle mèches bionde sulle tempie, sia proprio questo per un filosofo? Il salto dalla sua presunta inettitudine a quella che è la sua valorizzazione è nelle pagine del romanzo di Robert Musil “L’uomo senza qualità” dove Walter ed Ulrich sembrano vivere a distanza di quasi novant’anni la stessa dimensione. Una delle canzoni della colonna sonora del film è “Io sto bene” dei Cccp. Il testo recita “non studio non lavoro, non guardo la TV, non vado al cinema non faccio sport: è una questione di qualità”. Proprio quest’ultima parola è il focus del discorso di Musil: la solitudine di Ulrich, il suo protagonista, è una conseguenza del non riconoscersi in un mondo che non gli appartiene. Ulrich è coltissimo, vive in una Vienna che è sull’orlo del collasso a pochi mesi dallo scoppio della Prima Guerra mondiale. Tutto l’Impero asburgico è ben conscio da anni della fine imminente, ma il declino non è esclusivamente politico ed amministrativo. La “finis Austriae” significa patire, soprattutto per un animo sensibile, l’incapacità di trovare una collocazione sociale. Ulrich e Walter non hanno meri problemi d’impiego: in un mondo ben articolato, nello “Stato macchina” come lo chiama Musil, tutti sono parte di un ingranaggio, ma i due giovani non sono in grado di capire che ruota dentata dovranno muovere. Non essere né artisti né scienziati, non poter diventare illustri filosofi. Forse si potrà tentare nell’associazionismo la via di un riconoscimento sociale che tutti accettano? Ulrich fa parte del comitato Azione parallela, un gruppo patriottico di cui diventa addirittura segretario, Walter si dedica al servizio civile, ma questi ambienti finiscono per risultare senza vita.
A Vienna, Ulrich comprende che nell’imminenza della catastrofe ognuno sta cercando di salvare semplicemente la propria individualità. A Torino, Walter finisce per diventare l’addetto alle fotocopie ed alla ricezione di sgradite istanze di una Onlus. Ma le “qualità” non mancano ad entrambi, solo che non sono quelle socialmente riconosciute o riconoscibili dal loro mondo. Essere “senza qualità” non significa pertanto non avere alcuna dote, ma non possederne alcuna che possa portare a perseguire obiettivi tangibili. Persino quando le occasioni d’amore fisico coinvolgono tanto Walter quanto Ulrich, entrambi le rifiutano, riluttanti all’idea della sola sessualità in una fugace relazione.
La soluzione? Si trova in due parole chiave usate da Musil, poco importa che un esame universitario dopo l’altro vada male a Walter o che la Realpolitik non sia gradita ad Ulrich.
La prima è il saggismo. Chi vorrà dire ancora la sua nel mondo, dovrà descriverlo dal suo punto di vista, molto personale ed individuale, proprio come in un saggio, opportunità che si palesa per Walter in maniera successiva a brutte esperienze lavorative ed alla morte della zia. La seconda è un termine che Ulrich usa contro il suo governo: “tirare a campare”, ovvero attendere con pazienza ed indifferenza l’occasione per poter comprendere di che cosa ci si occupi. Walter non avrà le doti di Ulrich né lo attende la Grande Guerra, ma per lui la possibile svolta avverrà quando tenterà di lavorare come commesso in un supermercato. Potrebbe essere più duro con una ragazza che ha rubato un reggiseno e che aveva già conosciuto nei giorni precedenti in un campo di nomadi. Alla fine le riconsegna la refurtiva. In modo assolutamente imprevedibile vive con lei la sua prima volta nel retrobottega di quel centro commerciale. L’armatura impenetrabile che non consente un approccio con il mondo sarà stata scalfita? Non possiamo saperlo. Intanto prende la parola il padre di Walter. Con lo sguardo basso, simultaneamente al proprio figlio ed in una doppia solitudine generazionale, si intravede un armadillo. L’animale è un altro alter ego degli “uomini senza qualità”, la cui corazza è messa a dura prova da un volo tragicomico causato da un calcio, mentre Walter attende che il mondo cambi “tirando a campare”.
PARERGA E PARALIPOMENA
La quiete prima della tempesta
La catastrofe non è sempre improvvisa, spesso è annunciata. Quando giunge, la reazione più diffusa da parte di chi l’attendeva è la fuga. Molti uomini hanno un atteggiamento diverso: l’immobilismo. Come chi sta attraversando e sta per essere investito, come Plinio il Vecchio a fronte dell’eruzione del Vesuvio, come un innocente condannato a morte che subisce un ingiusto castigo, lo spirito prevale sul corpo al punto tale da generare una stasi improvvisa, data dall’impossibilità del singolo di arginare eventi troppo più grandi e rispetto ai quali c’è ben poco da fare. Come mai tali persone non reagiscono a fronte del fatto che la loro stessa vita è in pericolo? Probabilmente il loro essere stati attivi ma inascoltati nell’annunciare una tempesta sociale, li ha portati ad una relativa quiete prima che un tragico finale li colpisse individualmente. Un esempio tangibile è quello di Egon Schiele. Tutto l’Impero asburgico avverte in modo evidente che l’impianto politico e militare di quel grande miscuglio di lingue e nazioni stava per collassare. Nessuno però aveva il coraggio di ammetterlo, a parte il gruppo degli artisti ed intellettuali che denunciavano le crepe di un edificio prossimo al crollo. Tormentato, accusato, condannato in vita, Egon nel 1914 sta finalmente vedendo riconosciuto il suo grande talento pittorico. Ma è un uomo giovane e lo scoppio della Prima Guerra mondiale lo chiama ai suoi doveri di servizio alla patria. Grazie alla lungimiranza dei propri superiori, Schiele può continuare a dipingere e nel 1916 rappresenta Il mulino, simbolo dell’Austria che lui intravede già soccombente. Quelle pale meccaniche e quella struttura in legno, poco possono a fronte della forza esponenzialmente distruttiva dell’acqua. Tutto sarà spazzato via, ma Egon e l’Impero di cui fa parte controvoglia stanno fermi. La guerra sta finendo nel 1918. Con essa andrà via non solo la Vienna politicamente dominante nella Mitteleuropa ma anche la giovane vita di questo artista, contagiatosi dopo la morte della moglie Edith, incinta di sei mesi e malata di influenza spagnola. Schiele è fermo come il suo mulino: proprio ora che tutti si erano accorti di lui, la catastrofe da collettiva diventa anche individuale stroncandolo a soli ventotto anni.
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Scheda del film
Regia
Davide Ferrario
Titolo originale
Tutti giù per terra
Durata
94 minuti
Genere
Commedia
Data di uscita
1997
Dettagli dell’opera
Titolo
Il mulino
Autore
Egon Schiele
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1916
Ubicazione