La violenza come volontà di potenza
Il convincimento della propria superiorità può portare a sentirsi autorizzati alla prevaricazione. L’incontro, il confronto, il dialogo, muovono dalla continua ricerca di una relazione che metta in discussione le proprie idee. In caso contrario, il rischio della degenerazione è dietro l’angolo.
Le giornate di Marco trascorrono davanti al bar e a molestare le persone, mentre sfreccia a grande velocità con la sua moto. La madre tenta di destarlo da un torpore fisico e da un disinteresse verso ogni attività di studio e lavoro, ma non vi riesce.
Un evento sconvolgerà tutta la vita di questo ragazzo della periferia romana, al punto tale da condizionarla in modo prevalente e da indirizzarlo verso una scelta radicale. Mentre è sull’autobus, Marco assiste impassibile ad un episodio di molestie. Un uomo, palesemente ubriaco, si avvicina alle passeggere. Si tratta di uno straniero, con accento dell’est Europa. Facile dire che è semplicemente uno zingaro per gli altri viaggiatori. Accarezza le ragazze sul viso e fa loro dei complimenti espliciti, salvo apostrofarle negativamente quando non riceve le attenzioni che vorrebbe. Le lamentele sono tante e rimarcano soprattutto come i cittadini italiani non siano tutelati dai comportamenti incivili degli immigrati. Un giovane alto, robusto, vestito con un lungo abito ed un cappello in pelle nera si alza. Prima sorride a Marco e poi si approssima al rom. Non c’è dubbio: è un naziskin, anche per come ha tagliato i capelli. Picchia e disarma del coltello il molestatore, per poi scaraventarlo dal pullman alla prima fermata prenotata. L’approvazione dei presenti è totale, mentre Marco raccoglie e mette in tasca l’arma del gitano.
Ora c’è un nuovo argomento di cui parlare con gli amici, ora Marco sente che quella scoperta di un gruppo di neonazisti a pochi isolati da casa sua si è trasformata in curiosità profonda, per un universo di cui ignorava l’esistenza. Comincia a seguirli, a spiarli, a notare che si allenano coi pesi e le arti marziali e che si riuniscono in dei party a base di estremismo politico, birra e musica tecno. A capo di quel gruppo c’è proprio l’impavido salvatore delle ragazze dell’autobus, Saverio detto il Führer. Una sera, Marco entra nel loro club tra gli sguardi di diffidenza di tutti, che vorrebbero anche picchiarlo. Ma Saverio li blocca e scambia due parole al bancone del bar con Marco. Inizia un discorso intriso della cattiva interpretazione della filosofia di Nietzsche.
Saverio chiede a Marco perché lo stia seguendo e perché spii di continuo le attività del suo gruppo politico. Sa bene che Marco ha ancora con sé il coltello dello zingaro che era stato disarmato. Glielo trova in tasca e gli dice che quello è solo un oggetto privo di forza, che non gli darà il coraggio che cerca e che gli manca. L’unico sistema per realizzarsi è quello di non stare più alla finestra e di entrare a far parte di quel sodalizio. Tre le parole chiave citate da Saverio: libertà, volontà, potenza. Il tema è la volontà di potenza. Questa nozione è stata rivisitata e reinterpretata più volte successivamente alla morte di Nietzsche. Si tratta della lettura di una serie di appunti, editi inizialmente dalla sorella del filosofo, Elisabeth, e dal suo amico Peter Gast. La loro arbitraria ricostruzione postuma, vorrebbe attribuire alla volontà di potenza una sorta di libertà assoluta di azione, che risiederebbe nel fatto che uomini estremamente superiori abbiano il diritto di comportarsi col prossimo nel modo che preferiscono. La valutazione etica del loro operato non è consentita: i loro atti non sono giudicabili da menti ordinarie. Quello che il mondo chiama violenza non è altro che un atto lecito, anzi non giudicabile, soprattutto da esseri ritenuti inferiori. Marco intraprende il percorso di un’iniziazione a quel gruppo di esaltati. Si rade la testa lateralmente, inizia a sproloquiare mentre beve con Saverio, comincia a fare il duro e ad allenarsi in funzione di un potenziamento fisico, utile nelle risse e nelle spedizioni punitive. Non ascolta le voci di nessuno. Riccardo, un gioielliere ebreo che lo conosce personalmente, vorrebbe farlo rinsavire, mentre gli amici di sempre non lo riconoscono più coi capelli alla mohicana, gli anfibi ed un giubbotto nero.
Quello è un ideale che non esiste, che non gli è noto e che vuole solo plagiarlo, per poter prendere il potere, con l’aggravante di annullare i suoi pensieri. Le parole di Riccardo nulla possono, nemmeno le sue più profonde confessioni sul suo passato di deportato nei lager smuovono Marco verso una redenzione. La situazione degenera e gli insulti xenofobi sono continui al punto da tagliare la lingua ad un presunto spacciatore di colore. La madre Roberta è sconvolta della totale trasformazione negativa del proprio figlio, la bella Zaira, colf di colore con cui Marco ha una relazione, che è stata nascosta ai propri sodali, è esterrefatta. Il tragico epilogo giunge inaspettato. (foto 3) La sua fidanzata usa un coltello da cucina per difendersi da un raptus di razzismo, misto a percosse ed al tentativo di derubarla in casa propria. Ferito, quasi esangue, Marco cerca disperatamente aiuto in quelli che crede i suoi camerati. Saverio ordinerà a tutti di lasciarlo morire, per non avere guai.
PARERGA E PARALIPOMENA
La tonsura
Tagliare i propri capelli a zero. Un gesto ascetico, comune a più religioni, un atto d’iniziazione. Un gesto pratico: si può essere per più tempo in ordine, senza la necessità di pettinarsi. In fondo non occorre nemmeno un barbiere o un acconciatore. Un gesto igienico: in una comunità dove la possibilità di lavarsi è bassa, i parassiti avranno più difficoltà ad attecchire sul cuoio capelluto privo di capelli. Un gesto necessario in ambito militare. Non solo i pidocchi, ma anche le mani del nemico non avranno la possibilità di afferrare la nostra testa su di un solido appiglio se siamo stati rapati. Da Cromwell ai marines, i capelli corti, soprattutto lateralmente, sono sinonimo di efficienza sul campo di battaglia. Tra le tante brutali eredità del XX secolo, radersi la testa è diventato sinonimo di un’adesione ideologica, di un’appartenenza. Insomma, una sorta di complemento ad una divisa. Eppure quello spartano taglio di capelli era un simbolo mistico, frutto anche del votarsi ad una scelta profonda e radicale di pace interiore e di non violenza. Durante i primi decenni del monachesimo nacque addirittura un dibattito su come fosse meglio tagliarsi i capelli. Nel settimo secolo si parlava di tonsura romana o di San Pietro, con la parte superiore del capo rasata ed un circolo di capelli in basso e sulla fronte. Seguiva quella greca o di San Paolo con un taglio totale dei capelli e quella di San Giovanni o celtica con una rasatura solo sulla parte anteriore della testa. In omaggio alla corona di spine indossata da Gesù, si scelse di rendere prevalente la tonsura romana, che è tuttora diffusa. L’immagine che giunge alla mente è immediata: le Storie di San Francesco affrescate da Giotto nella basilica superiore di Assisi sono un omaggio anche alla tonsura, basta vedere la foggia dei capelli di San Francesco mentre s’innalza in un’estasi mistica.
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Scheda del film
Regia
Claudio Fragasso
Titolo originale
Teste rasate
Durata
94 minuti
Genere
Drammatico
Data di uscita
1993
Dettagli dell’opera
Titolo
Estasi di San Francesco
Autore
Giotto
Tecnica
Affresco
Realizzata nel
1295-1302
Ubicazione