Agostino, la Città di Dio e le catacombe
I disegni dell’uomo s’intrecciano parallelamente a vicende di dimensioni più grandi. Credere o non credere in Dio non fa la differenza, perché la tensione verso l’eterno s’intreccia con il caduco nelle azioni umane. Questo accade sia nelle costruzioni fisiche che nello spirito di appartenenza alla comunità che accompagna tutti noi.
Qui si rifugiavano i primi Cristiani dalle persecuzioni dai tempi di Nerone fino a quelli di Diocleziano, ed anche nei secoli successivi. Qui mangiavano in un’agape fraterna ogni notte. Qui si sposavano, ovviamente sempre in segreto. Qui schiavi e senatori erano tutti uguali di fronte ad un solo Dio. Ma sarà vero? E soprattutto, di cosa stiamo parlando? Il riferimento è ovviamente alle catacombe, le assolute protagoniste del kolossal Quo Vadis. Il cinema americano è approdato sulle rive del Tevere, con tutti gli errori storici ed i luoghi comuni che la visione hollywoodiana della romanità porta con sé. Poco importa però: il recupero del romanzo dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz, eredita una particolare visione paleocristiana del ruolo del gigante Ursus, dell’amore tra Licia e Marco Vinicio, della fede di Pietro.
Credere in Dio senza rinnegarlo, fino alla morte. Proprio questo principio ha trasformato il vecchio termine greco “koimeterion”, ovvero cimitero, luogo di riposo temporaneo e di attesa della resurrezione delle carni, in “katà kymbas”, cioè ciò che è sotto la cavità, nelle profondità della terra. Quando l’autore di Quo vadis, ancora pervaso di una visione romantica della storiografia antica, è in visita a Roma, trasforma le catacombe di San Callisto in un aggettivo sostantivato, al punto che oggi tutti quei luoghi sono così definiti e sono, nell’immaginario collettivo e sin dalle scuole primarie, l’introvabile rifugio sotterraneo dei Cristiani.
Tra le tante abilità dei Romani antichi vi è una profonda organizzazione topografica e toponomastica: sarebbe stato semplicissimo scoprire delle persone rifugiate in un luogo non già segreto, ma regolarmente registrato e catalogato. Quale riflessione filosofica ci suggerisce questo film? Di sicuro l’opera di riferimento è il De civitate Dei di Agostino. Infatti la città di Dio non è un concetto fisico. Civitas non sta per città come contenuto nel perimetro delle mura. Si parla di cittadinanza, di una condizione dello spirito che può portarci alla salvezza o alla dannazione dell’anima. In Quo Vadis, Pietro non si sente a casa propria non perché predica sottoterra, ma perché Roma, città del peccato, è più che mai un luogo che non gli appartiene spiritualmente. Lo stesso discorso è ricavabile dal monologo finale pre mortem di Petronio: la totale disistima per Nerone è una conseguenza del suicidio, dell’abbandono della vita e del rifiuto della cittadinanza romana conseguente alla morte stessa, visto che l’impero è nelle mani di un folle, di un tiranno ma soprattutto di un mediocre artista.
Quo Vadis esplicita come le catacombe sono in modo fisico ciò che Agostino descrive in senso teologico e filosofico. Sono extra moenia, fuori dalle mura della città dell’uomo, sono sottoterra, sono conformate sullo stesso tracciato che urbanisticamente ha reso efficiente la città dell’uomo, ma ne sono il piano ipogeo, e dunque sono l’accesso futuro alla città di Dio, che Agostino tanto bene descrive.
Nelle catacombe di Quo Vadis ed in tutte quelle della cristianità, un ruolo fondamentale è quello dei martiri: la croce per Pietro, la spada per Paolo sono simboli dei loro rispettivi supplizi, presenti in tutti i cimiteri sotterranei sino alle porte dell’alto Medioevo. Agostino chiama i martiri come i padri di un “sabato senza fine”, di un riposo annunciato per tutti, quello della morte, ma che ha, per chi crede in Cristo, la speranza della vita eterna, proprio come accadde a Paolo, che discute proprio di questo tema anche nel film, e che ha accennato nelle sue Epistole alla vita eterna.
La filosofia della storia di Agostino è anch’essa ben argomentata nella narrazione scenica e dialogica della pellicola. Nessuna delle due città, dell’uomo e di Dio, è unica e prevalente, ma esse coesistono, come il regno dei vivi e dei morti, come Roma e le sue catacombe, come la materia e lo spirito. Le parole di Pietro in Quo Vadis sono quelle dell’annuncio di Agostino, argomentate dopo il sacco di Roma del 410 d. C, lo spunto per la redazione del De civitate Dei “quello che si avrà senza fine è alla fine, infatti quale sarà il nostro fine se non quello di giungere al regno che non avrà fine?”
PARERGA E PARALIPOMENA
Dio ti vede
Una delle più problematiche questioni del Cristianesimo è la tematica del peccato. Mentre ogni atto pubblicamente messo in opera risulta immediatamente condannato socialmente, la sfera privata non è oggetto di vergogna, anzi è da sempre tutelata, persino in un mondo come quello antico, nel quale di personale ed estraneo alla polis, alla repubblica o all’impero c’era davvero poco. La rivoluzione è profonda: se anche crimini gravissimi come l’omicidio e la violenza, se non scoperti possono restare impuniti, non vi sono delitti irrisolti di fronte a Dio. Questi non solo conosce e può, ma vede tutto. Quello che accade tra le nostre lenzuola, sulla nostra tavola, sulla nostra poltrona è di sua pertinenza e non si è mai assolvibili in funzione dell’individuale e privata accezione del peccato commesso. Non è casuale che la gogna, strumento di tortura e di pubblica forma di moralizzazione, è un modo per rendere edotti tutti di quanto in privato come in pubblico è stato commesso. Vi finiscono adulteri come truffatori, ubriaconi come usurai, bestemmiatori come ladri. Insomma, sapere cosa è stato commesso lontano dagli occhi dell’uomo è un modo per conciliare la limitatezza dei nostri sguardi con la lungimiranza assoluta di quelli divini. Questa accezione è cara al pittore fiammingo Hieronymus Bosch. Nella sua opera I sette peccati capitali, custodita presso il Museo del Prado di Madrid, è possibile guardare una tavola in legno, una volta tanto non appesa verticalmente su di un muro ma orizzontalmente disposta. Il dettaglio più interessante relativamente al discorso della possibilità di uno sguardo lungo di Dio che si concilia con quello dell’uomo è dato dal dettaglio centrale. In esso scorgiamo Cristo che si erge dal proprio sepolcro, inscritto in un cerchio che emana dei raggi dorati simbolo della divina capacità di vedere lontano. La scritta in latino recita Cave, Cave, Dominus Videt, ovvero Attenzione, Attenzione, Dio Vede.
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Scheda del film
Regia
Mervyn LeRoy
Titolo originale
Quo vadis
Durata
171 minuti
Genere
Epico, storico, drammatico
Data di uscita
1951
Dettagli dell’opera
Titolo
I sette peccati capitali
Autore
Hieronymus Bosch
Tecnica
Olio su tavola
Realizzata nel
1525
Ubicazione