Nietzsche e l’eterno ritorno
Il peso della vita grava ancor di più se il tempo viene concepito come una monotona sequela di eventi. L’occasione per un definitivo alleggerimento? L’idea che l’uomo sia capace di generare attimi irripetibili e che la vita stessa possa essere concepita in questo modo.
Prendiamo un luogo senza alcun contatto col mondo. Scopriremo che è un lago nelle ultime battute della narrazione. Qui c’è un monaco buddista con un suo giovane allievo. Per gioco, il piccolo carica tre animali del peso di una pietra con una piccola corda. Non riescono a muoversi, saltare o nuotare, poiché sono una tartaruga, una rana ed un pesce. Moriranno a breve. Il bambino si dispera, e per punizione subisce la stessa sorte per mano dell’anziano.
Il riferimento esplicito di questa vicenda sembrerebbe essere legato alle filosofie orientali. Ma c’è un legame tra il lago artificiale di Jusan, dove Kim Ki Duk ha girato questa pellicola, ed il lago di Silvaplana in Engandina, dove tra il 1881 ed il 1883 Nietzsche partorì l’innovativa concezione dell’Eterno ritorno dell’eguale. Potremmo insistere molto sulle vicende della casa in cui sembra non esservi il tempo, o meglio, se ne coglie la sua circolarità, in un parallelismo tra le stagioni del sole, della vita dell’anziano maestro e le intemperanze, le fughe, gli atti tracotanti dell’allievo.
Ma non è su questo che sarà il caso di soffermarsi. Vi sono diversi riferimenti all’eterno ritorno, e sarà possibile coglierli nel corso della narrazione delle vicende. A ben vedere, Nietzsche ne cita un’interpretazione nell’aforisma 341 de La Gaia Scienza, detto “Del peso più grande”. Si parla di un demone strisciante, di un serpente. Questo essere profetizza una vita vissuta sempre nello stesso identico modo e senza alcuna variazione. Inutile ribellarsi e digrignare i denti: è il gravare più grande su ogni nostro agire, il macigno di cui non è possibile alleggerirsi. Ogni nostra azione non è libera, ma condizionata da tale peso.
Dunque le pietre, insostenibile sovraccarico per i poveri animali e per il giovane allievo, sono proprio questo. È il nichilismo passivo, quello che legge nell’eterno ritorno una ciclicità seriale. Per diversi momenti del film, questo è evidente nelle parole del maestro. Quando il giovane scappa per conoscere altri piaceri della vita, successivi a quelli della carne che ha assaporato da adolescente con una giovane ospite confinata nell’eremo lacustre, il maestro lo invita a riflettere sul valore dell’ascetismo: non gli era forse noto che vivere nel mondo vuol dire soffrire? La lotta senza fine contro gli “ideali ascetici” come li chiama Nietzsche nella Genealogia della morale ha un culmine nel momento dell’autunno. Ora il maestro può darsi fuoco nell’imbarcazione al centro del lago: atto estremo di un percorso religioso di ascetico nichilismo, per come lo leggerebbe Nietzsche.
Sul suo volto troneggiano ideogrammi su cui c’è scritto “silenzio”. Guarda caso, proprio un serpente ora dimorerà per qualche tempo nell’eremo. L’allievo che era ricercato dalla polizia ha versato sangue umano: è un omicida. Finirà in carcere. Crede, in funzione dei vecchi ideali ascetici su cui è stato catechizzato in una “fede cieca”. Vivere significa ragionare sul bene e sul male, su colpa ed espiazione.
La sua svolta? Il vero significato dell’eterno ritorno. È questo il Nietzsche de “La Visione e l’enigma”, una delle narrazioni più note dello Zarathustra, dove il profeta dell’eterno ritorno è l’assoluto protagonista. Chi ha letto questo libro, sa che esso si apre con delle metamorfosi, che giungono sino allo stadio di un fanciullo. Un nuovo giovanetto c’è anche nel film di Ki Duk. È il figlio di una giovane donna che viene lasciato su quel lago e che ora potrà vivere senza il peso degli ideali ascetici, allevato da un nuovo maestro. Ne “La Visione e l’Enigma” Zarathustra abbandona un nano, simbolo del nichilista poiché schiacciato fisicamente verso il suolo, sulla sommità di una montagna ed anche il nostro eroe che ha scontato il suo debito con la giustizia farà lo stesso, lasciando sulla sommità di un rilievo la statua che troneggiava nell’eremo. E la concezione del tempo? Il fanciullo dovrebbe aver fatto maturare nel nuovo maestro come in Zarathustra la visione di una porta carraia tra due sentieri, simboli di passato e futuro. Su di essa c’è scritto “l’istante”. Non più il tempo che ritorna su se stesso in modo pesante, gravoso. Anche nel film di Ki Duk ci sono delle porte, dalle quali ora non è più necessario passare. Nulla della vita è letto con categorie morali tradizionali: la morte della madre del bambino, trovata cadavere dopo un incidente nel lago ghiacciato, la sopravvivenza, il karma delle filosofie orientali non significano più nulla. Ora il lago può essere disgelato.
Il tempo ha senso solo se letto come l’eternità di istanti unici e non dello stesso istante, della stessa esistenza che si ripete in modo ciclico. La vita è un’irripetibile serie di attimi che non torneranno mai nello stesso modo ed è la più grande occasione per noi tutti: nasceranno nuovi uomini e vi saranno nuove ed uniche primavere.
Parerga e Paralipomena
L’eterno ritorno di Steve Jobs
Il tema è di quelli più discussi e controversi nella filosofia di Nietzsche: cosa s’intende davvero per Eterno ritorno dell’eguale? Nelle loro opere, hanno offerto suggestive interpretazioni non solo filosofi propriamente detti, ma anche letterati come Kundera e Pessoa. Pochi si aspetterebbero che il più famoso discorso del genio dell’informatica Steve Jobs possa contenere delle analisi vicine ad una valida e personale lettura dell’eterno ritorno. Di sicuro si tratta di parole non legate alla mera circostanza di un saluto ai neolaureati dell’Università di Stanford. Nella terza parte della prolusione, Jobs sottolinea non solo che il tempo non va sprecato, ma che il motto della rivista The Whole Earth Catalog, che lo aveva fatto appassionare al mondo dell’elettronica, doveva diventare l’imperativo di tutti: siate affamati, siate folli. In effetti, Jobs era sicuro di avere poco ancora da vivere e che fisiologicamente anche la moltitudine dei giovani davanti a lui sarebbe inesorabilmente invecchiata. Ma è proprio questo il bello della vita: ognuno ha la possibilità di generare attimi irripetibili ed ogni essere umano che si alternerà appena nato a qualcuno che sta per morire, avrà questa straordinaria opportunità: è questa una suggestiva lettura dell’eterno ritorno. Nel XVII secolo e nei pressi di piazza Navona, la storia dell’arte ha un episodio molto simile da narrare. Nel dover affrescare la Chiesa di Sant’Agostino a Roma, il pittore Giovanni Gaspare Lanfranco non poteva lasciarsi sfuggire l’opportunità di citare una vicenda biografica che Agostino racconta nel De Trinitate. Su una bella spiaggia nei pressi di Tagaste nell’attuale Tunisia, Agostino si sta arrovellando il cervello per comprendere come sia possibile che natura e persona di un unico Dio possano essere al contempo una e trina. Un bambino sta giocando a scavare fossi in riva al mare. In realtà è un angelo, che riferisce come sia impossibile sondare la Trinità: è più semplice che tutta l’acqua davanti a lui possa essere ospitata nella minima profondità di quella buca. Citando Eraclito, Nietzsche scrisse che il tempo è un bambino che gioca sul bagnasciuga: sa bene che il mare ne distruggerà ogni costruzione di sabbia, ma non per questo smette di farlo. Ognuno di noi da bambino ha vissuto con questo spirito la caducità del tempo e l’eternizzazione di un istante: Eraclito, Agostino, Nietzsche e Jobs sono tutti legati al sorriso del fanciullo del pittore Lanfranco.
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Scheda del film
Regia
Kim Ki-duk
Titolo originale
Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera
Durata
103 minuti
Genere
Drammatico
Data di uscita
2003
Dettagli dell’opera
Titolo
Sant’Agostino in meditazione sul mistero della Trinità
Autore
Giovanni Lanfranco
Tecnica
Affresco
Realizzata nel
1614
Ubicazione