Per grazia ricevuta. Le fedi cieche
Esistono principi che sono totalmente fuori dal mondo e dalle naturali inclinazioni dei viventi. Sono dei valori che rifuggono ogni moderazione e creano conflitti. In essi, risiede un’influenza forte sull’agire dell’uomo e solo eventi cruciali e incontri positivi possono ridurne la portata assoluta
Credere e non credere. Esistono anche posizioni intermedie, come l’agnosticismo e il deismo, ma certamente il dibattito sulla fede è riducibile proprio a questo. Tuttavia, esiste una valutazione particolare su questo tema, proposta all’interno della “Gaia Scienza” da Nietzsche. Fedeli e atei non sarebbero figure tanto distanti tra loro, anzi. Essi rappresentano l’emblema di quelle che possono essere definite come “fedi cieche”, ovvero quelle radicate convinzioni di secoli di impostazione morale che hanno condizionato la vita degli uomini. Le fedi cieche sono responsabili di un danno stratificato e sedimentato: quello di un’esistenza fatta di esecuzione di compiti. In sostanza, secondo Nietzsche, invece di vivere noi siamo imprigionati e senza rendercene conto. Siamo tutti accecati e inclini all’osservanza di regole morali. Benedetto Parisi è un qualcosa a metà strada tra un venditore ambulante di vestiti e un commesso viaggiatore.
Oramai è un uomo. La rigida impostazione cattolica dei primi anni della sua vita, lo ha reso un convinto credente ed ora un dubbioso fedele, che ha grosse difficoltà a prendere sonno tra mille pensieri. Si è fatta notte, Mentre chiude la sua automobile bianca, cerca una farmacia di turno e il conforto delle medicine per poter dormire. Incontra Oreste Micheli, un farmacista che gli propone senza nemmeno farlo parlare un preservativo.
A suo giudizio, Benedetto ha bisogno di anticoncezionali e di prostitute, più che di farmaci per dormire meglio. Guarire l’insonnia coi sonniferi: un errore perché al sonno bisognerebbe dare un senso. Secondo Oreste si parla di sonno dei giusti, ma al mondo difficilmente le categorie di giusto e sbagliato sono attribuibili al dormire. Certo, anche il farmacista non si merita un sonno ristoratore, ma ha dato un senso all’assopirsi: dorme di giorno e vive di notte. Poiché tutte le principali attività del mondo sono diurne, invece di vivere la vita, lui se la dorme. In più stare svegli di notte significa inventarsi la realtà.
Benedetto contesta questa affermazione: il suo lavoro necessita di riposo, altrimenti non avrà la forza di guidare. Ecco finalmente la domanda fatidica sulla fede: lei è credente? Gli articoli dei quotidiani presenti sul bancone assumono un significato: il progetto di una “mostra sulla divina provvidenza”. Benedetto, sfiduciato, rifiuta il dialogo: sicuramente quell’uomo è un bigotto. Tuttavia, appena sente che il titolo è ironico, cambia idea e ascolta. Si tratta di una raccolta di ritagli di giornale che ben si presterebbero anche a diventare pannelli espositivi. Il loro oggetto è la brutalità e cattiveria insita nel mondo. Un vero inferno, in cui persone in coma si svegliano per poi morire o patiscono inverosimili torture, attraverso malattie congenite. Ovviamente Oreste non crede nei miracoli, facilonerie destinate alle masse. Una notte a parlare, dedicata a un conflitto interiore tra due Benedetto. Nel frattempo, il nostro triste insonne, sente di prendere sberle da entrambi i suoi io. Il consiglio è uno. Anche se è difficile esserne convinti, bisogna vivere e comportarsi come se Dio non esistesse. Con questa logica non ci sono minacce, pentimenti, dolori, incongruenze: persino il male del mondo sembra avere un senso. Vincere Dio è un dovere sociale, una missione filantropica, l’abolizione dei tabu, dei peccati, delle regole morali. Secondo Oreste, i comandamenti stessi hanno un ordine progressivo di difficoltà. Benedetto ha espiato una bestemmia con un cammino di due chilometri in salita e con un macigno di quaranta chili sulle spalle.
Come fa un uomo a ridursi così? Albeggia. Il momento di andare è arrivato. Quella farmacia è aperta tutte le notti? Sì, tranne il mercoledì, in cui è attiva anche di mattina ed è gestita dalla figlia del farmacista, che precisa di non essersi mai sposato e che la vita erotica dovrebbe essere un volume intriso di tante vicende. Lui si sente un santo ateo: i santi non si sposano. Oreste diventerà un punto di riferimento forte nella vita di Benedetto.
Come fa un uomo a ridursi così? Albeggia. Il momento di andare è arrivato. Quella farmacia è aperta tutte le notti? Sì, tranne il mercoledì, in cui è attiva anche di mattina ed è gestita dalla figlia del farmacista, che precisa di non essersi mai sposato e che la vita erotica dovrebbe essere un volume intriso di tante vicende. Lui si sente un santo ateo: i santi non si sposano. Oreste diventerà un punto di riferimento forte nella vita di Benedetto.
Nietzsche direbbe che tutta la trama del film è intrisa di figure afferenti a fedi cieche: perbenisti, sostenitori del primato della scienza, moralizzatori, credenti nei miracoli, nell’amore, nel matrimonio, nella verginità, edonisti, bugiardi, fedifraghi, santi, martiri, sacerdoti, frati. Persino l’inaspettata conversione in articulo mortis di Oreste e la scelta suicidio sono forme di fede cieca. Non di meno, il legame tra Benedetto e Giovanna, la figlia di Oreste, ha un non so che di fideistico sotto l’approvazione di quello che oramai da amico è suo suocero, che non approva il loro possibile matrimonio. Tutto questo non conta in un’ottica d’interpretare ogni credo come cieco: queste figure sono tutti rigidamente osservanti, in una serie di valori che non possono che condizionare la vita stessa in modo profondo e inconscio.
PARERGA E PARALIPOMENA
La dolcezza di chi non vede
Perdere la vista. Una disgrazia, un problema congenito, una delle più tremende punizioni che sin dall’antichità i codici penali di più culture infliggono. Una difficoltà con cui imparare a convivere. Come è ben noto, talvolta una sorta di via d’accesso a delle facoltà che i normo vedenti non possono fruire. Non si tratta semplicemente di un acuirsi di altri sensi come l’udito e l’olfatto. Il non vedente, gode di una sensibilità d’animo che è speciale, che è stata accresciuta se già posseduta. Si sa bene che la malattia e l’imprevisto acuiscono pregi e difetti nelle persone. Così Beethoven incontrò una ragazza al chiaro di luna. Appena scoprì che era cieca, le dedicò una delle sue più famose sonate, cercando di poterle far intuire con l’animo ciò che non era via d’accesso per i suoi occhi. Musicisti, tessitrici, pittori, docenti, poeti, giornalisti, scienziati. La lista di chi ha perso o non ha mai posseduto la vista è lunghissima: Ray Charles e Stevie Wonder, Galileo e Monet, Pulitzer e Omero. Epoche ed ambiti storici differenti richiamano ad ambiti molto articolati dell’azione dell’uomo, in più campi del sapere e con una sensibilità personale aggiunta. Il pittore preraffaellita Millais, volle celebrare la dolcezza di una ragazza cieca. Alle sue spalle un paesaggio agricolo e un suggestivo arcobaleno. Sulle sue gambe una fisarmonica e una bambina. Nel suo volto e nel suo cuore la tensione di mille pensieri, a cospetto dei quali, vedere o non vedere qualcosa del mondo è assolutamente secondario. La quiete interiore che ella vive è un senso aggiuntivo ai cinque che tutti possiedono. Questa imperturbabilità non è da tutti, ma appannaggio, probabilmente, solo di chi ha un’anima nobile.
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Scheda del film
Regia
Nino Manfredi
Titolo originale
Per grazia ricevuta
Durata
122 minuti
Genere
Commedia, drammatico
Data di uscita
1971
Dettagli dell’opera
Titolo
The blind girl
Autore
J. E. Millais
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1856
Ubicazione