Il mondo si rivela a chi lo attraversa a piedi, nomade come viandante in Hölderlin
La dimensione di un perenne viaggiare non solo muta il luogo in cui si vive, ma destina a coloro i quali ne fruiscono la possibilità di arricchire anche coloro coi quali s’interfacciano.
I silenzi, gli straordinari paesaggi, l’incrocio con quattro continenti ne farebbero un documentario che già di per sé vale il prezzo del biglietto. Ma ancora più suggestiva è la tesi di fondo: l’umanità è fragile senza il nomadismo e da quando si è quasi totalmente urbanizzata, è destinata a scomparire in poche decine di migliaia di anni.
L’homo sapiens ha compiuto un viaggio incredibile dall’Africa sino alla Patagonia, passando attraverso lo stretto di Bering. Ma la cultura filosofica del regista si abbina alla conoscenza personale della figura di Bruce Chatwin che emerge in delle precise scene, argomentate da Herzog nel ruolo di narratore onnisciente nonché d’intervistatore diretto. In Patagonia, tra fossili, scheletri, relitti ed affascinanti grotte, facciamo la conoscenza di Chatwin. Il simbolo della sua vita? Un dono fatto ad un amico, uno zaino in cuoio dal quale Herzog non si separa mai e che gli avrebbe salvato addirittura la vita in due notti passate all’addiaccio e nella neve.
Il motto di Bruce? “Il mondo si rivela a chi lo attraversa a piedi”. Hölderlin lo sapeva bene quando scrisse “Iperione o l’eremita in Grecia”, un romanzo epistolare con 60 lettere dove si racconta un’esperienza passata di viaggio prima in Grecia e poi in Germania. Chatwin soleva dire che Cristo portava una veste senza cuciture e che avrebbe compiuto un lungo viaggio pre mortem nei luoghi dove era nato ed anche oltre, attraverso il suo futuro apostolo dromomane, Paolo. Non a caso, Bruce scelse di essere seppellito su di un promontorio nei pressi del monte Athos dopo essersi avvicinato allo spirito religioso dei monaci ortodossi in Grecia. È il tema del viandante, ben caro alla filosofia romantica. Un uomo inquieto, la cui dimora non è definibile, che trova nel viaggio il proprio Io ed a cui, come dice Herzog, viene offerto pane e vino da chi lo ospita, tema caro a Novalis, Rilke ed ovviamente Hölderlin. Lo stesso Hölderlin fonde continuamente passato e presente nel continuo vagare d’Iperione e nelle sue narrazioni. Quando un aborigeno spiega con il semplice esempio di un arbusto che viene spezzato progressivamente cosa sia la sua visione del nomadismo, apprendiamo che gli uomini non sono altro che un andirivieni.
Colui che è arrivato, torna indietro finché il rametto, cioè la vita, termina. Ma questo tempo non definibile come può mai essere compreso? Nella sua conoscenza della cultura aborigena, Chatwin ci parla per bocca di Herzog con il suo capolavoro “Le vie dei canti”. Un popolo che non ha una storia scritta, la tramanda attraverso due modalità: il canto ed il viaggio. Con queste due attività, i luoghi vengono narrati, descritti attraverso delle melodiose parole, un segreto per gli stranieri, un percorso soggetto, per l’appunto, ad un andirivieni. Ma la questione non è solo topografica. Come in Eraclito, passato e presente coincidono. Se un percorso è comune, chi è giunto alla meta, cosa può fare? Ovviamente tornare a casa, raccontare e poi morire. Hölderlin lo sapeva bene. Il viandante può trovare finalmente casa sua e risolvere il problema principale della sua inquietudine cercando quel senso del divino in cui non crede più, ma solo attraverso le sue radici. Quali sono le radici del viandante? La Natura da cui proviene.
La Grecia non può agire perché non ricorda quali siano le sue vecchie divinità. La Germania è bloccata dal fatto di non riconoscerle. Fondersi nella Natura tornando ad essa, questa è la soluzione per il nomade e viandante Iperione “Essere uno con il Tutto, questa è la vita degli dei, è il cielo dell’uomo! Essere uno con tutto ciò che vive; tornare, in un beato divino oblio di sé, nel tutto della Natura, questo è il vertice dei pensieri e delle gioie, questa è la sacra vetta del monte, la sede dell’eterna quiete, dove il meriggio perde la sua afa e il tuono la sua voce, e il mare infuriato assomiglia all’ondeggiare di un campo di spighe”.
PARERGA E PARALIPOMENA
La felicità nell’instabilità
Il nomadismo non è esclusivamente una scelta di tipo culturale, un elemento storico per poter tramandare in modo alternativo alla tradizionale forma scritta le proprie origini. In esso risiede anche una scelta esistenziale che per molti animi inquieti è l’unica via possibile: la felicità intesa come mancanza di stabilità. Vi sono individui che si sentirebbero imprigionati ad essere nella stessa città, tra le stesse mura, con gli stessi inseparabili amici. Per loro è più agevole vivere su un’abitazione semovente, improvvisare il menu del giorno, immaginare un lavoro differente per ogni luogo in cui si stanzieranno temporaneamente. Il nomadismo è dunque anche la medicina operativa all’inquietudine di chi non riesce ad immaginarsi libero se relegato sempre alle stesse e consuete operatività. Come una gabbia garantisce cibo e cure mediche perpetue ai suoi prigionieri ma li priva della loro assoluta libertà, anche il nomadismo vive nella possibilità di muoversi il beneficio più grande di una scelta a monte non convenzionale ma serena: non legarsi a nessun luogo. Tra le produzioni artistiche meno note di Vincent Van Gogh ve n’è una del suo periodo di permanenza ad Arles. In questo biennio, l’artista olandese inizialmente non produsse nulla. Al contrario delle aspettative, le quattro mura della camera che aveva preso in affitto erano realmente una gabbia. Solo, imprigionato dal maltempo di un lungo ed inusuale inverno, visse la più grande crisi creativa che lo potesse colpire: oltre quattro mesi senza dipingere nulla. Ma la primavera sarebbe arrivata e con essa la possibilità di uscire e di osservare i paesaggi della Francia meridionale. Lo colpirono molto dei nomadi: tranquilli, con delle loro casette in legno trainate dai cavalli e riscaldate da rudimentali camini semoventi, ora spenti per l’arrivo della bella stagione. Questo incontro con chi era perennemente libero di poter uscire dalla propria camera poiché viveva per strada, lo portò a dipingere non solo La carovana di zingari vicino Arles ma a produrre in poco più di un anno e mezzo circa duecento quadri nel periodo che lui definì della più febbrile e felice attività della sua vita.
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Scheda del film
Regia
Werner Herzog
Titolo originale
Nomad – In the Footsteps of Bruce Chatwin
Altri titoli
Nomad – In cammino con Bruce Chatwin
Durata
85 minuti
Genere
Documentario
Data di uscita
2019
Dettagli dell’opera
Titolo
La carovana di zingari vicino Arles
Autore
Vincent van Gogh
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1888
Ubicazione