L’eutanasia secondo Sofocle
Quando la vita diventa sofferenza, molti scelgono di porle fine. Questa possibilità è valutata anche da coloro che sono riusciti a compiere imprese incredibili che ne hanno reso le gesta immortali ma che non desiderano immortalare il dolore.
Maggie Fitzgerald sa bene che cos’è la durezza della vita. Ha superato i trent’anni e si mantiene con un umile ma onesto lavoro di cameriera. Viene da una famiglia disastrata economicamente, psicologicamente e socialmente. Non ha velleità particolari ma una concreta aspirazione, che cresce senza rancori in un barattolo coi suoi risparmi: diventare un pugile professionista. Tra tante ritrosie ed ostinazioni riesce a farsi allenare da Frankie Dunn: una vita per la boxe come atleta, coach e manager. Quest’uomo gestisce una palestra a Los Angeles dove sono passati diversi talenti. Qualcuno, come Scrap, è suo socio ed ex professionista con decine di incontri alle spalle. La passione la porta cucita sulla pelle: ha perso persino un occhio sul ring. Qualcun altro lo ha abbandonato, allettato da palcoscenici ed opportunità migliori. Frankie ha tanti interessi: non solo lo sport, ma anche lo studio del gaelico ed un perenne interrogarsi sulla fede con l’aiuto del reverendo Horvak. Ma ha uno scheletro nell’armadio non da poco: migliaia di lettere che tornano indietro da parte di una figlia che lo ha rinnegato. Sarà forse per questo che tra questo burbero allenatore e la non più giovanissima cameriera nascerà un legame indissolubile. Ma il lavoro duro e le umiliazioni non mancheranno. Maggie s’impegna come non mai: arriva persino a pensare al pugilato mentre serve ai tavoli, muovendo i piedi come nelle torsioni che si effettuano su di un gancio cui segue un uppercut.
Ha una dote incredibile: il colpo del knock out. Come un novello Eracle con dei pantaloncini, dovrà superare diverse fatiche oltre alle prime tre che ha già arginato: miseria, età che avanza e diffidenza. La quarta è conservare denaro per risollevare le sorti della madre e dei fratelli, ma questi la respingono, perché temono di perdere sussidi ed assistenza sociale. La quinta è il duro cammino verso il titolo, fatto anche di intrighi tra manager che temono i suoi pugni stordenti. La sesta è l’intraducibile scritta in gaelico “Mo Cuishle” che è cucita dietro l’abito che Frankie le regala e che indossa prima di salire sui ring di tutta Europa. La settima sembrerebbe la più dura: il titolo mondiale contro la campionessa Billie. Una scorrettezza di quest’ultima le costerà cara. Maggie subisce un montante a tradimento ed a match fermo. Finirà paralizzata e tetraplegica, rompendosi le vertebre cervicali sullo sgabello accidentalmente messo di taglio nel suo angolo: l’ottava fatica è servita.
La nona prova è la sua irreversibile situazione vegetativa cui si uniscono la decima ed undicesima: il dissidio creatosi tra Frankie e Scrap e la volontà di respingere per sempre la propria famiglia. venuta a Los Angeles solo per sottrarle i suoi lauti guadagni.
Ora ha solo Frankie vicino a lei per la dodicesima ed ultima fatica: l’amputazione di una gamba. Come Eracle, Maggie è stata resa immortale dalle sue gesta, e le urla di incitamento del pubblico le risuonano ancora nella testa. Ma attenzione: l’immortalità non significa non essere senziente: il dolore nel fisico, nella mente e nell’animo che prova è ben evidente. Questo stato è lo stesso che ci ricorda Sofocle nelle Trachinie. Eracle è afflitto da una tunica avvelenata dal sangue centauro Nesso e donatagli dalla moglie Deianira. Mentre Eracle non vorrebbe più quella tunica, Maggie vorrebbe tanto indossare quella coi colori della verde Irlanda e la scritta Mo Cuishle. Le parole di Eracle al figlio Illo sono ben chiare: “Bene, figlio, concludi. E una sollecita grazia ora aggiungi: su la pira ponimi, prima che un nuovo accesso, un nuovo spasimo piombi su me. Via, dunque, sollevatemi, affrettatevi. Il termine dei mali era tal per quest’uomo: il giorno estremo”. Maggie ha la stessa richiesta per Frankie: la bella morte, la morte senza dolore, rinunciare alla propria immortalità acquisita sul ring e con dodici fatiche come Eracle per non provare più dolore, proprio come il cane di famiglia che non vide tornare mai più da piccola dopo che il padre si era allontanato nel bosco con una vanga ed un fucile. Il suo mentore svolge il compito richiestogli tra tanti pensieri contrastanti, ma prima di staccare la spina e di iniettarle l’adrenalina nel cuore le rivela, come promesso a suo tempo, il significato di Mo Cuishle: mio tesoro, mio sangue.
Almeno in questo, Maggie avrà avuto una minima consolazione.
Parerga e Paralipomena
I sigari di Freud
Tra i tanti adagi che è possibile mutuare dal mondo antico passando attraverso diversi autori contemporanei, ve n’è uno estremamente significativo: molti uomini illustri sanno dare profondi consigli agli altri, ma non a se stessi. Nel mondo latino esiste addirittura un proverbio denigratorio per questa tipologia di presunti esperti di vita: frustra sapiens, qui sibi non sapit, inutilmente sa, chi non sa per sé. Questa carenza di uno spirito pratico, che è fortemente condannata dal panorama della romanità, trova però conferma nel fatto che è logicamente ed emotivamente più facile analizzare le altrui situazioni che le proprie. Dunque, un consulente, un avvocato, un ingegnere, un docente sono capaci di lavorare meglio con situazioni professionali estranee ad un coinvolgimento emotivo e personale: c’è maggiore lucidità e freddezza. Una riprova evidente di quanto sinora asserito risiede nella figura di Freud. Considerava la dipendenza dal fumo una patologia della mente, ma non si distaccò mai dai suoi amati sigari, nemmeno quando gli era stato vivamente consigliato dal suo medico personale di smettere, oltre che di asportare gran parte della sua mascella oramai compromessa irrimediabilmente da un tumore. Ma gli errori di Freud proseguirono: si rivolse a dei chirurghi poco professionali che gli procurarono un’emorragia quasi mortale. Non restava, come sostenne il padre della psicanalisi, che trovare un modo dignitoso per sparire nel letto dell’ospedale di Londra dove era ricoverato: una massiccia dose di morfina che lo fece spegnere nel sonno. Quest’ultimo desiderio accarezza tanti grandi protagonisti, anche della storia dell’arte, persino in un lugubre presagio. Nel 1881 Édouard Manet terminò a fatica Le Suicidé. Gli era stata diagnosticata una grave malattia neurologica che lo avrebbe gradualmente portato alla morte nel giro di quattro anni e solo venti mesi dalla lenta realizzazione di quell’opera. Probabilmente aveva pensato anche lui all’eutanasia, ma un artista sa che può praticarla anche attraverso le sue opere, che può scegliere qualcuno che faccia le sue veci, che sia la rappresentazione del proprio pensiero: da qui il tormento e la lentezza nel dipingere quell’uomo oramai cadavere.
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Scheda del film
Regia
Clint Eastwood
Titolo originale
Million Dollar Baby
Durata
132 minuti
Genere
Drammatico, sportivo
Data di uscita
2004
Dettagli dell’opera
Titolo
Le Suicidé
Autore
Édouard Manet
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1877
Ubicazione