Azione e volontà in Gaetano Filangieri
Nascere in determinati luoghi può offrire una maggiore inclinazione al delitto. Il rimedio? Un’educazione alla legalità che ribalti gli stereotipi appresi tra le strade dei quartieri sovrappopolati.
Palermo alla fine degli anni Ottanta somiglia ad una delle tante città meridionali afflitte dal problema della criminalità minorile. La rieducazione di questi ragazzi passa anche dal periodo della loro carcerazione e viene condotta attraverso la scolarizzazione in prigione. Nessun docente vorrebbe una nomina del genere, ma quando l’ufficio scolastico provinciale convoca i professori, Marco Terzi è l’unico ad alzare la mano ed a lanciarsi in questo mondo. Deve lottare con tutti. Il direttore e le guardie carcerarie non vogliono che entri nel merito del modo di gestire la disciplina in riformatorio e lo accusano anche di diffondere delle idee sovversive tra i ragazzi. Ma sono proprio questi ultimi il problema da superare: ciascuno appare ingestibile in classe.
Ma sarà questa la loro vera indole? Ognuno di loro in realtà vive il dramma della mancata conciliazione di azione e volontà, il più grande problema rilevato nella Scienza della Legislazione da Gaetano Filangieri nel XVIII secolo. Il grande illuminista rimarcava nel suo più noto libro come Napoli non fosse diversa da altre grandi capitali europee sia per un nutrito numero di adolescenti condannati in tribunale che per la mancanza di norme in termini di procedura penale specifica per la loro casistica. Il delitto, secondo Filangieri, muove da una coincidenza tra l’atto compiuto e la volontà di compierlo. Chi nasce in determinati contesti ad alta densità di popolazione, senza istruzione e con un tasso di diffusa povertà, per lo più imputabile alla nobiltà disinteressata al popolo, riterrà ovvio comportarsi in determinate modalità rispetto alla legge. Quei giovanissimi delinquenti non sono tali per le loro azioni, ma perché la loro volontà non è individuale, consapevole ed autonoma, ma uniformata. Essi si aspettano durezza nella punizione, vedono nei tutori della legge dei nemici da combattere e odiare e ritengono anche che violenza e sopruso delle forze dell’ordine siano l’ovvia risposta alle loro azioni. In Mery per sempre ognuno dei grandi protagonisti della vicenda manifesta tali peculiarità.
Natale è un bullo, un duro, non teme nessuno, dichiara che “la mafia è bene ed è giusta”, vorrebbe mettere in ridicolo il suo professore sporcandolo col tratto di un pennarello nero, ma quando il docente gli fa comprendere che in quartieri come lo Zen e Borgonovo la mafia priva la Sicilia anche dell’acqua, il silenzio lo assale, lo stesso mutismo, la stessa paura di quando dovrà andare all’Ucciardone: il carcere dei grandi.
Pietro è insensibile ad ogni dialogo didattico. Guarda all’esterno dell’aula e poggia i piedi sul banco. Approva il comportamento dei secondini che lo picchiano dopo che ha provato ad usare violenza fisica e sessuale ad un’assistente sociale occasionalmente entrata in classe. Evade, e si fa trovare a casa di Marco Terzi: gli spiega di essere incline all’uso delle mani perché è sempre vissuto in quartieri dove questa era la regola. Sarebbe successo lo stesso a quell’occhialuto professore e forse. se avesse spaccato la faccia ad un suo rivale d’amore che gli aveva soffiato la moglie, ora quel marito tradito sentirebbe meglio. Ma la fuga dalla detenzione di Pietro non dura molto: morirà dopo un tentativo di rapina a mano armata.
Carmelo è l’unico a poter resistere alla leadership di Natale. Inizierà a difendere Claudio, il nuovo arrivato, dalle vessazioni che questi stava subendo in camerata. Il motivo? Nella sua ferrea logica che la sessualità è un atto da consumare e non un orientamento o un’inclinazione, preferirà proporgli nei bagni di vivere una comune esperienza omosessuale, come in un disegno che vede rappresentato sulle mura della toilette. Una sorta di “coppia gay per necessità”. Claudio si rifiuterà, denuncerà l’accaduto ma non servirà a nulla questo gesto di civile disobbedienza: è uno spione. Lo scenario non muterà e sarà costretto a ferire pesantemente Carmelo con una spranga per evitare di essere violentato.
Mery è un trans. Fuori si prostituiva. Tutti lo prendono in giro, lo mettono da parte. Il nucleo maschile della sua famiglia d’origine era disgustato dal suo essere effeminato. A difendere la sua scelta la sola madre, disperata al processo dove Mery finirà per subire una condanna a causa delle percosse inflitte ad un cliente. Quello del meretricio era il suo regno, nessuno la prendeva in giro. La sua dichiarazione è un inno alla mancata conciliazione di azioni ed intenzioni: non sono né carne né pesce, sono Mery, Mery per sempre.
La situazione sembra precipitare: Claudio è trasferito in un altro istituto di pena dopo il ferimento di Carmelo e la notizia della morte di Pietro sconvolge i ragazzi, fomentati dalle guardie carcerarie. Cosa farà Marco Terzi? Quello che forse duecento anni prima avrebbe fatto Gaetano Filangieri. Si reca dai giovani detenuti, è minacciato di morte, sembra reagire con la pistola al coltello: quella stessa arma con cui Pietro ha trovato la morte, una scacciacani che farebbe solo tanto rumore. Ma la sua analisi è lucida: Pietro piangeva nel letto d’ospedale, aveva paura della morte ed aveva richiesto di non dire agli altri di averlo visto in quelle condizioni, un’arma fa sentire forti ma non fa vincere il duello con la vita.
Filangieri sa che ci vuole tempo per rieducare, per avvicinare al rispetto delle istituzioni qualora queste comprendano senza punire in modo indistinto. Questo tempo è quello che anche il professor Marco Terzi vuole spendere in quel luogo: non va visto come un carcere, ma come una scuola dalla quale non vorrà mai più trasferirsi, stracciando la lettera di conferimento di un nuovo incarico.
Parerga e Paralipomena
Il Nuovo Mondo e la felicità degli scugnizzi
Tra i più sorprendenti scambi epistolari della storia ve n’è uno che coinvolge Gaetano Filangieri e Benjamin Franklin. Nel suo protrarsi il mito americano aveva un ruolo fondamentale: un nuovo governo dove poter realizzare ciò che nella vecchia Europa era impossibile mettere in opera. Philadelphia, la città dell’amore fraterno attirava il colto filosofo napoletano e la figura del poliedrico Franklin ancor di più: un uomo di scienza al servizio della patria e della riforma del diritto. Non di meno, una nazione che aveva negato alla monarchia la possibilità di attecchire, viveva nella volontà di una rappresentanza popolare la sua più entusiastica possibilità di una società civile più giusta. Ma quando nel 1788 Filangieri era prossimo alla morte, questo rapporto s’interruppe quasi bruscamente e si raffreddò in modo reciproco. Quel tema forte della Dichiarazione del 1776 si stava affievolendo: gli uomini hanno il diritto alla felicità, hanno il compito di dover assecondare la loro inclinazione naturale al tipo di lavoro e d’interessi che più gli si confanno. Il compito del governo? Agevolare questa propensione, ma a Filangieri sembrò che Franklin avesse smesso di seguire questo indirizzo, sporcandosi le mani con la politica intesa come manovra di palazzo. Come raggiungere la felicità? Forse con una adolescenziale irriverenza al potere, magari anche simile a quella dell’infanzia. Il pittore Fortunino Matania era napoletano come Filangieri e lo lesse con passione spingendosi prima Oltralpe e poi a Londra. Sognava un mondo libero e felice per gli scugnizzi della sua città d’origine, ma la Prima Guerra mondiale ne aveva uccisi troppi al fronte pochi anni dopo. Così il suo gesto artistico più ribelle: Il più forte, un quadro dove un bambino francese mostra la lingua ad un soldato tedesco. Siamo nel 1915 e quel fanciullo si era reso conto che poteva essere privato della sua felicità per sempre.
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Scheda del film
Regia
Marco Risi
Titolo originale
Mery per sempre
Durata
102 minuti
Genere
Drammatico, noir
Data di uscita
1989
Dettagli dell’opera
Titolo
Il più forte
Autore
Fortunino Matania
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1915
Ubicazione