Il tempo nell’Estetica trascendentale di Kant
Cosa potrebbe succedere se mai riuscissimo a sfruttare le nostre facoltà mentali al massimo delle loro possibilità? Quale conoscenza sarebbe per noi da ritenersi la più grande?
Lucy Miller ama lo sballo, diventa suo malgrado corriere di una nuova sostanza stupefacente chiamata Cph4 che provoca una continua accelerazione delle sue facoltà cerebrali.
Un indizio importante su quanto potrebbe verificarsi in una situazione di ipertrofia delle nostre capacità mentali viene dal professor Samuel Norman.
Le sue analisi sono esposte in una conferenza dove si parla di temi a metà strada tra le neuroscienze e l’antropologia culturale. Qui si spiega che il nostro cervello viene utilizzato nell’ordine del 10% delle sue potenzialità. Nonostante questo, gli uomini hanno fatto cose geniali nel corso della storia e seguono una legge primitiva, parola che risulterà chiave nel discorso di tutto il film. In effetti, pare inspiegabile che prima dell’utilizzo del microscopio diverse civiltà antiche conoscevano già le cellule: forse la verità sul sapere è che esso è innato. Anche gli umani, quando si relazionano ad un habitat in cui trovano facilitazioni, si riproducono, proprio come le cellule sin dai loro primordi. Lo scopo della vita sarebbe quello di tramandare. Vengono inoltre citati i delfini, che possono sfruttare il 20% del loro cervello e che hanno conseguentemente un’ipersensibilità alle onde sonore. Ad una domanda su cosa potrebbe essere dell’uomo se arrivasse al 100% delle sue capacità cerebrali, Norman risponde di non averne idea. Ora la protagonista prende sempre più piede, esattamente come il continuo espandersi dell’utilizzo delle sue aree cerebrali in un progressivo download di tipo simil informatico. Abilità nell’utilizzo delle armi, assenza di dolore, conoscenze scientifiche e mediche sempre più profonde, poliglottismo, lettura del pensiero, iperacusia, fino ad una nuova forma d’intelligenza artificiale autoprodotta dai propri tessuti e vasi sanguigni. Lucy rivela al team di scienziati convocato da Norman a Parigi quale sia la vera natura conoscitiva del mondo: un filosofo direbbe l’ontologia della realtà. La matematica, l’alfabeto, persino la stessa fisica dello spazio non sono che convenzioni, codici che gli uomini si sono dati per approssimare la verità che non sono capaci di cogliere, ovvero che tutto è tempo. L’esempio è rappresentato da un’auto a velocità superiore a quella di riproduzione di un dispositivo audiovisivo: per poterla vedere e sondare bisogna rallentarla nel tempo del filmato. La vicenda sta giungendo al termine ed a breve ci sarà la risposta al quesito posto a Norman ad inizio film. Fossero pure del 99%, le capacità cerebrali dell’uomo sarebbero comunque manchevoli di una parte della realtà. Portate al 100% con la dose massimale di cristalli di Cph4 assunta da Lucy, esse coincidono con la realtà stessa: insomma la rappresentazione della realtà e del tempo umana andrebbe a coincidere con la realtà ed il tempo assoluti e non vi sarebbe più un gap. Ecco perché giunti all’ultima scena, a seguito della domanda del poliziotto parigino su dove fosse finita Lucy, sullo schermo del telefono dell’ispettore ferito compare la scritta io sono ovunque.
Ora è tempo di tramandare ai posteri. Non a caso, precedentemente e nella folle accelerazione su di una Peugeot con a bordo sempre lo stesso tutore dell’ordine, Lucy è alla guida e dichiara che “non si muore mai davvero”. Per questi motivi, riguardo a cosa fare della nostra vita, frase di conclusione della pellicola, la risposta sarà spontanea: consegnare alla posterità il sapere, proprio come la grande pen drive che Lucy ha destinato a Norman prima di dissolversi in modo consustanziale al tempo: non dobbiamo cancellare mai quanto appreso. Quanto sinora esposto analizza un piano fisiologico e cerebrale, ma forse per parlare di Kant è più opportuno utilizzare il termine mentale, specie se parliamo di Estetica trascendentale, la prima parte della Dottrina trascendentale degli elementi della sua celebre Critica della ragion pura. La tesi di Kant è suggestiva. Spazio e tempo sono dentro di noi prima di fare qualsiasi esperienza del mondo. Sono una sorta di schema mentale per inquadrare la realtà e per rappresentarla: sono forme a priori, esistono anche senza che abbiano un contenuto e che siano spiegate sottoforma di esempi. Se pensate ai programmi di un pc, essi hanno la stessa logica, posseggono la funzione di scrivere o calcolare qualcosa anche senza un singolo caso di redazione o di conteggio. Ovviamente gli esseri umani hanno dei limiti, pertanto il modo con cui rappresentano la realtà ne è influenzato. Se Lucy comprende sempre di più il mondo grazie ad un aumento della percentuale d’utilizzo del cervello, questo all’uomo di Kant non è dato. Ad esempio la nostra visione tridimensionale dello spazio è offerta dall’impostazione euclidea della geometria e finisce per influenzare la nostra visione del mondo: ogni soggetto vedrà la realtà nei limiti della sua natura umana e questo appartiene a tutti universalmente. Più che mai Kant crede nel primato del tempo sullo spazio. Non è solo lo schema interno all’uomo del modo di rappresentare il mondo, ma che ci piaccia o no, ogni conoscenza è da noi collocata nel tempo, mentre non accade sempre per lo spazio. Tutto questo è per Kant codificato anche dalla matematica, proprio come dice Lucy quando parla agli scienziati che l’attendono a Parigi. Le convenzioni linguistiche o algebriche non dicono la verità sul mondo poiché limitate da approssimazioni. Dunque, sia Lucy che Kant ci parlano di un primato del tempo. In entrambi i casi è la modalità conoscitiva e rappresentativa del mondo. Ma è possibile conoscere il tempo ovvero la realtà al 100% come farà Lucy? No, questo non ci è dato, poiché la sua natura, scrive Kant, è pressoché inattingibile. In sostanza il tempo come concetto assoluto magari esisterà pure, ma non ci è dato di raggiungerlo dati i nostri limiti che un neuroscienziato chiamerebbe il 10% dell’utilizzo del cervello e Kant chiama trascendentali. Se ci si riflette, le onde con cui funzionano i nostri televisori e smartphone ed il progressivo crescere delle radici di un albero sono fenomeni potenzialmente udibili e visibili, ma siamo noi a non coglierli.
Quando Lucy riesce a fare questo, le è possibile anche dominarli ma, come ribadito, questo per Kant è impossibile e l’uomo resta ancorato alla sua limitata conoscenza, che Norman ha chiamato primitiva e che è conosciuta a pieno da Lucy quando vede il Big Bang, l’origine del tempo.
Qual è l’esito del raggiungere il goal del 100%? Kant non lo ha mai potuto/voluto ipotizzare, ma nel film c’è una suggestiva teoria. Lucy chiama la madre per dirle che le vuole bene quando ha contezza che in circa ventiquattr’ore la sua vita sarà dissolta. Non di meno non sente più dolore. Sta perdendo la sua natura umana: in effetti conoscere tutto significa anche spiegarsi tutto e quindi perdere quella irrazionale umanità che ci fa piangere, ridere, credere, sperare, amare, soffrire. Al massimo della sua cerebralità, l’uomo sa tutto con la mente ma non sente più nulla dal cuore.
Parerga e Paralipomena
Le porte della percezione
Lucy è sia il nome di Lucy Miller che della nostra famosa antenata ominide ritrovata nel 1974, quarant’anni prima dell’uscita del film, in Etiopia. Le due s’incontrano e si toccano con il dito indice nelle scene finali, nel girovagare spazio-temporale della protagonista tra varie epoche. Lucy Miller è giunta al sapere assoluto attraverso una droga. La nostra primogenitrice venne battezzata così dai suoi scopritori sulla scorta del brano dei Beatles “Lucy in the sky with diamonds”, per molti, acronimo dell’Lsd nelle intenzioni velate dei quattro ragazzi di Liverpool. Ma allargare le porte della percezione, non più come visione estetica alla William Blake, ma come viaggio psichedelico dello scrittore Aldous Huxley e della band dei Doors, può avere davvero notevoli benefici? L’esperienza di tutti i fruitori di sostanze stupefacenti è la stessa di Lucy, indipendentemente da quanto abbiano effettivamente portato al limite le loro possibilità: l’annullamento di ogni forma di emozione o sentimento. Una viva testimonianza ci viene fornita attraverso l’opera il Bevitore di assenzio di Manet. Accanto alla possibilità di farsi incantare dalla “fata verde” come i parigini chiamavano l’assenzio, liquore a basso costo e con la facoltà di offrire immediata alienazione dal mondo, esiste il triste scenario di uomini tristi, isolati, in un perenne grigiore di una vita fatta di angustie fisiche e dei luoghi che frequentano. Le porte della percezione sono state definitivamente chiuse.
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Scheda del film
Regia
Luc Besson
Titolo originale
Lucy
Durata
89 minuti
Genere
Azione, fantascienza
Data di uscita
25 Settembre 2014
Dettagli dell’opera
Titolo
Il bevitore di assenzio
Autore
Édouard Manet
Tecnica
Affresco staccato
Realizzata nel
1858/1859
Ubicazione