Simone Weil: il misticismo che viene dalla campagna
Nei momenti di crisi ci si affida con riserva all’evasione, sperando che qualcuno o qualcosa muti lo stato della nostra disperazione. Talvolta, proprio dietro alle nostre forme di riluttanza, la mera apertura ad una nuova prospettiva della vita muta il corso di eventi sgradevoli dai quali sembrava non esservi uscita.
Simone Weil è una ragazza minata nel fisico e nell’animo. La tubercolosi la ucciderà presto e nonostante i tormenti che l’affliggono è una studiosa già nota: l’enfant prodige del pensiero francese. Decide di fare un viaggio in Italia. Il suo temperamento non è incline ad allinearsi con qualsiasi forma di fede, almeno non ne segue i principi alla lettera. Marxista? Certo, ma non in modo ortodosso e per questo motivo desidera toccare con mano il mondo proletario. Il luogo scelto è quello della campagna piemontese: lavorerà come bracciante presso Gustave Thibon, anch’egli cultore della filosofia e autodidatta. La stima tra i due è notevole, ma un affetto potrà mai diventare un amore? In realtà quest’uomo, oltre che avere una bella mente, ha anche un’avvenente moglie: Yvette.
Simone si scopre all’improvviso in competizione, qualcosa che non aveva mai provato nella sua giovane vita. Ma questo non è importante: in fondo è lì per lavorare, farà la contadina e saprà essere una stella inquieta, una di quelle che brillano poco nella notte delle Langhe. Si tratterà solo di un mese, in fondo passerà presto, proprio come un grande affetto non ricambiato.
Così la Weil vive in una natura poetica nei campi ed a ridosso dei tralci di vite, passeggia nel bosco senza luce ed ammira in pieno giorno la frutta appena raccolta, dilettandosi con le canzoni ed i balli di una cultura che apprezza sempre di più.
Simone ha imparato ad essere serena con piccole cose, a guardarsi dentro senza drammatizzare. Il suo motto? “Bisogna compiere tutto il possibile per sfiorare l’impossibile”. Le sue esperienze forti non rientrano in uno sperimentalismo assoluto, ma nel voler collocare in una prospettiva empirica quanto aveva dedotto dai libri. Questo spiegherebbe il suo ruolo di attivista nella Guerra civile spagnola o di fresatrice della Renault, con uno stile minimalista nel vestiario come nella sua parca mensa quotidiana.
La tenuta dove suda e s’impegna, le ha insegnato a vivere con poco, proprio come farebbe chi apprezza anche il lato spirituale, mistico del pensiero. Ed allora, oltre ad una produzione saggistica di prim’ordine, Simone porta alla luce anche dei suoi pensieri, affidati proprio a Gustave Thibon, custode di un intimo diario che sarà pubblicato postumo col titolo L’ombra e la grazia. Quel contrasto tra luce è tenebre non è solo il rapporto ciclico tra il chiarore dell’alba e l’oscurità successiva al tramonto. Sarà la metafora della sua forma di religiosità cristiana, anch’essa eterodossa e non allineata, proprio come il suo essere seguace di Marx.
Lo scopo della filosofia è adesso quello di una tensione mistica: rendere sovrannaturale tutto ciò che appare come naturale. La tesi di Simone Weil è radicale: Dio può essere conosciuto solo attraverso la sofferenza e per mezzo dell’accettazione del fatto che egli è avulso dal mondo che ha creato. Questo non è pessimismo, non è un dolore lacerante né una sconfitta teologica, ma è quella naturale prosecuzione di una giornata di duro lavoro nei campi: ci si alza presto e non ci si ferma mai, fino a quando non giunge la notte. Nessun contadino si lamenta per questo quotidiano impegno, nessun filosofo e mistico si lagna perché sarà concentrato nei propri pensieri. Ora l’intesa con Gustave è perfetta: il “filosofo contadino” è lo sposo di Yvette e più che mai il collega di Simone, sia con la vanga che con la penna.
PARERGA E PARALIPOMENA
Omnia vincit labor
L’esperienza di Simone Weil come attiva lavoratrice in fabbrica e nei campi ne farebbe un’intellettuale molto particolare. Ma questo non è che lo specchio di una militanza anche in termini di attenzione ai diritti civili. In ogni caso si tratta di un impegno manuale che si accompagna ad uno mentale in perfetta sincronia. Virgilio ci ha trasmesso nelle Bucoliche la nota locuzione Omnia vincit amor, a rimarcare che la forza dell’amore porta sia ad arrenderci ad essa sia a viverla come un’inarrestabile opportunità per superare ogni ostacolo. Forse la lezione della Weil potrebbe portare ad una riflessione di tipo diverso. Mentre l’amore può finire e ci può duramente tormentare nei suoi nefasti strascichi, il paradigma dell’impegno quotidiano, anche senza un obiettivo ben preciso, può avere degli effetti benefici. Non è raro che uomini di grande portata culturale e di notevole finezza abbiano amato notevolmente dedicarsi anche al mondo agricolo, comprendendo come da esso si possa vincere ogni forma di disagio e dolore dell’animo. Un contadino potrà avere l’artrosi, il raffreddore, il mal di schiena ma sicuramente non soffrirà mai di depressione: la sua proverbiale operosità lo porterà a dover convogliare il pensiero verso un oggetto ben preciso e a non potersi permettere un abbattimento, tipico di chi non ha che un chiodo fisso nella testa del quale non riesce a liberarsi. A questa conclusione giunse probabilmente anche Caravaggio. Per la commissione di una tela, il marchese Vincenzo Giustiniani gli offrì trecento scudi: era necessario rappresentare l’amore come forza che vince su tutto, anche sulle arti. Per il suo quadro Amor vincit omnia, Caravaggio aveva bisogno di un modello. Lo scelse nella figura di Francesco Boneri, un ragazzo vivacissimo, la cui intelligenza non era stata mai convogliata in un discorso avulso dalle marachelle quotidiane e dallo scherno cui sottoponeva gli abitanti di Roma. La frequentazione del maestro del chiaroscuro lo trasformò nel suo factotum, ed anche in un valente pittore. Ma in cosa Caravaggio e Cecco Boneri erano affini? Non solo nell’uso del pennello, ma anche nella facilità all’estrazione del pugnale e nella rissosità in taverna: un evidente esempio di come intelletto ed azione si possano ben sposare.
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Scheda del film
Regia
Emanuela Piovano
Titolo originale
Le stelle inquiete
Durata
87 minuti
Genere
Drammatico
Data di uscita
2011
Dettagli dell’opera
Titolo
Amor vincit omnia
Autore
Caravaggio
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1603
Ubicazione