Una Rivoluzione senza rivoluzionari: Hegel
Il punto di vista di chi ha subito gli effetti di un evento storico è direttamente derivato dal suo essere vincitore o sconfitto di quell’epoca. Cosa ne penserebbero i nobili della Rivoluzione francese?
Una cortigiana scozzese a Parigi. Ama il lusso, la nobiltà, potrebbe scappare nel 1790 quando il clima per i nobili di Parigi non è il migliore: è la favorita del duca d’Orleans, è Grace Elliot. Nel 2001 Eric Rohmer ne racconta le memorie autobiografiche con l’uso di una straordinaria fotografia, facendoci vedere un volto poco felice della Rivoluzione francese.
Quando nel 1792 Grace vuole fuggire in campagna, non potendo reggere più Parigi, deve sobbarcarsi il lungo attraversamento delle vie non più festose e con petali di fiori, ma piene di sangue, teste mozzate ed odori acri di putrefazione. Il disgusto non è solo per l’olezzo, ma per quanto quella rivoluzione che sembrava trasporre grandi ideali ora sia crollata.
E non è il solo punto di vista di una nobile che passerà quindici mesi in carcere tra la possibilità del patibolo e quella di una tumultuosa liberazione, ma quello di un grande filosofo che cambia repentinamente la propria visione di un fenomeno storico che ha vissuto attraverso gli occhi del suo stesso pensiero. È il 1790. Siamo a Tubinga ed il giovane Hegel è entusiasta: sta piantando l’albero della libertà con Schelling ed Hölderlin. Per lui la Rivoluzione francese è “la splendida aurora che cambierà il mondo”. Nel 1793, Hegel apprende dai giornali in lingua francese dei massacri, del Terrore, dell’uso indiscriminato della pena di morte. Inizia a pensare ad una “rivoluzione senza rivoluzionari”. La rivoluzione è sempre buona, innovativa, è il progresso inarrestabile della storia che porterà ad un futuro di necessaria realizzazione di valori superiori, nel caso di Hegel al massimo livello del compimento dello Spirito nel suo progressivo rivelarsi storico. I rivoluzionari esagerano, uccidono, compiono le peggiori efferatezze. Si potrà mai realizzare una rivoluzione senza rivoluzionari, intendendo per essi dei sanguinari criminali? Questo è l’interrogativo di Hegel e della nostra Grace Elliott mentre è a Parigi ed è liberata proprio nel 1793. Siamo nell’anno dell’esplicito “tradimento della Grande Nazione”, come lo chiama Hegel, le idee, come lui stesso dirà, sono diventante “impotenti”, la grande forza che lo portò tre anni prima a piantare quell’albero, ora lo sradica metaforicamente.
Ma questo non è abbastanza per descrivere la storia di Grace. Il 21 gennaio assisterà dalla terrazza del castello di Meudon addirittura alla decapitazione del re Luigi XVI.
Gli eventi si succedono, ed il duca d’Orleans è caduto in disgrazia. Poco importa che abbia manifestato, quando ancora c’era realmente libertà di parola, la sua decisa opposizione alla monarchia. La sua fuga in Austria e la cattura lo faranno salire sul patibolo.
Grace sembra spacciata, ma mentre attende la sua esecuzione, la fine della dittatura giacobina e la morte di Robespierre ne consentirà una miracolosa seconda e definitiva liberazione.
Parerga e Paralipomena
La filosofia dello spettatore
Cosa accade quando gli eventi degenerano a tal punto che è impossibile esprimere la propria opinione? Non di meno, se assistiamo ad uno spettacolo teatrale o cinematografico e questo non è stato di nostro gradimento, come facciamo a manifestare il nostro disappunto visto che non abbiamo un rapporto diretto con attori e registi? Mentre Hegel rifletteva sulla Rivoluzione francese con delle analisi profonde su come fosse possibile perseguire gli ideali di un radicale cambiamento senza spargimento di sangue, Kant smise di fare digressioni politologiche e preferì rimarcare come riguardo ad ogni rappresentazione fosse necessario generare una “filosofia dello spettatore”. Chi è presente fisicamente ad un evento e chi per di più ha pagato un biglietto ha non solo il diritto ma il dovere di manifestare le proprie contrarietà. Ma come? La Rivoluzione francese era un fenomeno violento e la semplice disapprovazione verbale appariva scurrile. Non restava che quella che Kant chiamava “la libertà della penna”, il giudizio scritto di chi è testimone di qualsivoglia fatto e su di esso comincia a scrivere, a proporre anche delle stroncature. La comunità del dissenso non potrà che allargarsi in questo modo. Se ci riflettiamo anche le recenti iniziative di advisoring non sono che questo: una comunità di persone che mangiano, bevono, dormono in un albergo o visitano un luogo possono essere messi in guardia dalle insidie di quello che viene vantato impropriamente o è di qualità scadente. Anche una fastidiosa esperienza personale potrebbe essere oggetto di un’annotazione. Meglio ancora se a parlare non è la sola penna kantiana, ma addirittura il pennello. Berthold Woltze fu non solo artista ma anche docente universitario a Weimar. Quando era solito prendere il treno, notava che talvolta vi erano delle ragazze che venivano importunate da uomini presuntamente eleganti e forbiti, che in realtà risultavano annoianti. Quelle signorine tacevano, ma nel suo Cavaliere fastidioso gli occhi chiari di una giovane dicono molto di più di un trattato di psicologia delle espressioni: talvolta chi disturba il prossimo riceve in risposta un frastornante silenzio.
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Scheda del film
Regia
Eric Rohmer
Titolo originale
L’Anglaise et le Duc
Altri titoli
La nobildonna e il duca
Durata
129 minuti
Genere
Drammatico, storico
Data di uscita
2001
Dettagli dell’opera
Titolo
Il Cavaliere fastidioso
Autore
Berthold Woltze
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1874
Ubicazione