Lo scopone scientifico: la filosofia del giocatore
Il gioco d’azzardo ha rovinato milioni di persone in tutto il mondo. Forse è l’unico problema diffuso che coinvolge gli esseri umani indipendentemente dalla loro estrazione sociale, dal loro reddito e dal loro livello culturale. La riflessione sul perché questo accada coinvolge molti piani del pensiero e non è solo di natura psicologica ed esistenziale
Una donna anziana, ricca e facoltosa gira il mondo per brevi soggiorni in grandi città. Il suo scopo principale è cimentarsi nel giocare a carte. Il suo ex partner nella vita è ora diventato un fedele segretario e compagno nell’azzardo. L’Italia offre mille suggestioni. Tra queste, quella dello scopone scientifico attira molto la miliardaria statunitense. Peppino e Antonia sono gli umili borgatari che attendono periodicamente l’arrivo dell’americana e del fidato George per coltivare un sogno: batterli al tavolo verde e riscattare la loro situazione d’indigenza. Tutto il quartiere fa il tifo per loro. Pur non avendo liquidità, data la propria misera situazione economica, possono permettersi di giocare impegnando la somma in contanti gentilmente elargita dalla loro storica avversaria.
Gli elementi per parlare di come l’azzardo possa rovinare un’intera comunità ci sono tutti. L’anziana signora è chiaramente ludopatica, ma se ascoltiamo i riferimenti di Francesco Bernardino Cicala, il termine che andrebbe usato è “azzardopatica”. Nel 1790, questo filosofo del diritto, che era guarito dal vizio del gioco, pubblica un libro che anticipa ogni analisi contemporanea su questo fenomeno: il Saggio filosofico e critico sulli giuochi d’azzardo. In questo volume vengono evidenziati gli aspetti che ruotano attorno a chi si ammala di questa dipendenza. Ma i riferimenti non sono soltanto per chi ne è protagonista e vittima in prima persona. Ad esempio, nel film troviamo la figura di Armando Castellini detto “il professore”. Questi accoglie la domanda di Peppino sul proseguire o meno una partita al raddoppio. Infatti, sino a quel momento, la coppia dei coniugi romani stava vincendo una considerevole somma e bisognava prendere una decisione sulla continuazione di una sfida al raddoppio. Il consiglio è di continuare a giocare e vincere, per raggiungere un obiettivo che Peppino avrebbe dovuto prefiggersi quando è iniziata la sfida con la possidente americana. Il risultato finale?
Vincere tutto il patrimonio dell’anziana e dividerlo equamente tra i borgatari. Secondo Cicala, il professore è l’esempio di chi applica i principi razionali della scienza, del buon senso o della religione al gioco, rappresentando la prima categoria degli erronei scommettitori: quelli che avvalorano una speranza collettiva di redenzione economica attraverso l’azzardo. Cicala segnala come la cultura dovrebbe diffondere criteri legati ad elementi di statistica e probabilità, disincantando il popolo dallo sperperare soldi nell’azzardo. Il problema non è individuale, ma politico e collettivo, prescindendo dalla fascia sociale di appartenenza. Altro elemento che porta al collasso chi vive il gioco non come funzione ricreativa ma come azzardo è, secondo Cicala, la presunzione di una personale abilità e talentuosità. Quando Peppino e Antonia stanno vincendo circa duecento milioni di lire, l’anziana sembra stia per morire.
In un ricovero domestico e con George che fa da traduttore e interprete del malcontento di una bisbetica dipendente dal gioco, Peppino commette un errore con una carta. Tutta la somma è persa. A malincuore, Antonia farà coppia al tavolo con Righetto, elegante, furbo e peraltro suo corteggiatore. Questi si presenta proprio coi tratti della supponenza che Cicala descrive nel suo saggio. Dichiara di fare la vita di un campione sportivo. Dorme regolarmente, non beve né fuma: un professionista. In più ha anche abilità di scaltrezza che l’ingenuo Peppino non presenta.
Gli eventi precipitano: Righetto e Antonia perdono i soldi dell’intera borgata, raccolti dal professore che era sicuro di rendere povera la miliardaria. Tra episodi di violenza, scene d’isteria collettiva, tentativi di suicidio e di avvelenamento, tutte la vicenda culmina in atteggiamenti che Cicala definiva come tendenti all’attaccamento ai soldi, all’impulsività dei gesti e alla mancanza di una diffusa lucidità, i più grandi sintomi di un’autentica malattia che l’azzardo genera sia in chi gioca direttamente, sia in chi confida con sogni e speranze in una vincita. Forse è proprio l’amore di Antonia e Peppino, mai tramontato, e forte della capacità di un reciproco riconoscimento degli errori commessi che è la speranza più viva di una redenzione dall’azzardo.
PARERGA E PARALIPOMENA
Dimmi come giochi e ti dirò chi sei
Giocare. Una pratica insita nell’uomo sin dalla sua più tenera età, un bisogno quasi primario, che instaura un sistema di relazioni tra bambini o membri di una stessa comunità. In un gruppo, il gioco disvela immediatamente gli individui coi quali ci relazioniamo. Esistono coloro i quali sanno bene che quella non è la vera vita, che leggono quei momenti con distacco, senza trasporto, senza l’estrema passione che altri vi mettono. Per loro, vincere o perdere è del tutto secondario e la generosità che li caratterizza li porta a considerare che luoghi e mezzi da condividere, non sono un problema in termini di costi. Magari, queste persone sono quelle che portano il pallone da calcio per tutti o mettono a disposizione casa, fiches e carte da gioco senza voler nulla in cambio. Non di meno, per altri componenti della fase ludica, un sodalizio di giocatori è uno dei tanti ambiti in cui vogliono primeggiare, senza ammettere sconfitta e con uno spirito di competitività insano e fraudolento. Questi, fin da quando sono bambini, buttano all’aria i numeri estratti dalla tombola, vanno via senza motivo, sabotano la pratica del gioco altrui o, addirittura, barano, facendo questo nei modi più disparati. Tutti conoscono la vita molto estrema di Caravaggio. Nelle sue biografie, si legge che frequentava costantemente le osterie di notte ed era solito non solo bere, ma anche giocare d’azzardo. Per quanto incallito peccatore, addirittura rissoso e violento al punto tale da aver tolto la vita a un proprio simile, Caravaggio non amava una categoria: i bari. Decise di rappresentarli in uno dei suoi quadri. Gli diede una natura elegante e raffinata, non turpe, proprio come accade a tutti i finti buoni. I bari non sono soltanto coloro che anche gratuitamente giocherebbero in modo sporco ad un tavolo. In essi risiede la volontà di raggirare e ingannare il prossimo, di fargli del male in modo subdolo, pur di affermare scorrettamente il proprio io, forti della consapevolezza della propria mediocrità. Caravaggio era fermamente convinto che per capire con chi ci relazioniamo, il modo migliore era quello di valutarne l’operato con le carte da gioco tra le mani.
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Scheda del film
Regia
Luigi Comencini
Titolo originale
Lo scopone scientifico
Durata
116 minuti
Genere
Drammatico, commedia.
Data di uscita
1972
Dettagli dell’opera
Titolo
I bari
Autore
Caravaggio
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1594
Ubicazione