Ulrike Meinhof: la violenza come azione politica
La violenza non ha mai una giustificazione concreta. Il XX secolo ha prodotto diversi modelli per spiegarne le ragioni e addirittura per suggerire il suo utilizzo in modo mirato: una rottura con la tradizionale ricerca del bene come razionalità etica.
Alla fine degli anni Sessanta, l’Occidente guarda con diffidenza alle continue violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Persia. Non di meno, la Guerra in Vietnam non piace a studenti ed attivisti. La Germania Ovest è il baricentro di una contestazione giovanile contro il governo federale tedesco, accusato di essere a favore dello scià e dell’imperialismo americano.
Gli scontri in piazza portano anche a morti e feriti ed un’organizzazione terroristica sta per nascere: è la Raf, Rote Armee Fraktion, il plotone dell’Armata Rossa. L’obiettivo di questo gruppo, meglio noto a livello internazionale col nome di Banda Baader-Meinhof, dal nome di due dei suoi fondatori, è la destabilizzazione politica e la genesi di una lotta di classe armata. Ci aspetteremmo che i suoi componenti siano individui senza cultura e brutali nell’animo, poiché non conformati al rispetto della vita altrui. Ma in realtà i protagonisti di evasioni, assassini ed altri crimini non sono degli irrazionali analfabeti. Essi rappresentano un’autentica rottura con la tradizione dell’intellettualismo etico, la scelta consapevole del male, della violenza come risoluzione al mancato ascolto delle istanze del popolo e come base dell’azione politica.
A proporla è una donna, una madre, una giornalista ed una studiosa di filosofia: Ulrike Meinhof. Chi poteva immaginare che quella ragazza di provincia che suonava il violino, fumava il sigaro e vestiva con abiti maschili, sarebbe diventata famosa. Prima per i suoi articoli sulla rivista Konkret, poi per il suo passare dallo sposare la causa di un nuovo Illuminismo, pacifista ed antinucleare, alla legge del mitra e della paura. Sicuramente assieme a Gudrun Ensslin, discendente di Hegel, è la più colta dei componenti della Raf e ne è la reale ideologa, con una filosofia estremamente legata alla prassi. Tutto è giustificabile in funzione dell’azione politica e le sue frasi diventano addirittura motivo di emulazione o ammirazione dell’opinione pubblica.
Lanciare sassi e bruciare auto sono dei reati, ma se a farlo è una moltitudine, questa è un’azione politica. Prendere il sole nude sul terrazzo è indecoroso, ma se contribuisce all’emancipazione sessuale, perché non farlo con la sua bionda compagna Gudrun? Rapinare le banche nuoce all’economia del proletariato? No: si tratta di atti politici, simili a quelli dei guerriglieri dell’America Latina, che hanno legittimità politica nell’esproprio proletario ed intelligenza strategica nel procacciare soldi per la lotta all’imperialismo americano. Per la causa bisogna fare di tutto e rinunciare ad ogni legame. L’addestramento alle armi dei terroristi avviene in Giordania, lì le due figlie della Meinhof dovrebbero raggiungerla, ma dopo un periodo di permanenza in Sicilia saranno ricondotte in Germania da un amico dal padre.
Oramai la via è intrapresa e le due gemelline mancano meno del previsto alla loro mamma. I volantini, i comunicati stampa, gli scritti clandestini e le rivendicazioni di Ulrike sono un’articolata giustificazione anche agli attentati, ai sequestri, alle bombe, anche se queste dovessero uccidere degli innocenti. “Stiamo agendo per coloro che cercano di liberarsi dal terrore e dalla violenza. E se per loro non rimane altro che la guerra, allora noi siamo per la loro guerra. Infatti la protesta è quando dico che questo non mi piace. La resistenza è quando mi assicuro che ciò che non mi piace non accada più” Questo aforisma della Meinhof precede di poco l’arresto dei capi della Raf e la loro detenzione nel carcere di Stammheim a Stoccarda.
Con mezzi di comunicazione improvvisati, anche se in celle diverse, continueranno a dialogare ed a pensare a nuove azioni. Il loro processo precede di poco la loro morte: la prima ad essere trovata impiccata sarà proprio Ulrike. Suicidio? Omicidio di Stato? Il finale lascia questo interrogativo aperto, al contrario di una drammatica certezza filosofica che deriva dagli scritti della Meinhof: il terrorismo non è un atto criminale ma un’azione politica condivisa da molti e che tutti dovrebbero approvare ed intraprendere.
PARERGA E PARALIPOMENA
La strana storia di Gavrilo
Da bambini ci hanno detto che il casus belli della Prima Guerra Mondiale è stato l’attentato di Sarajevo. Oggi è ben chiaro che quella vicenda non è che un semplice pretesto: tutta l’Europa stava aspettando il conflitto. La corsa agli armamenti, i nazionalismi imperanti, gli attriti intestini fra la Triplice Intesa e la Triplice Alleanza, le guerre nei Balcani ed in Marocco, sarebbero cause reali e tangibili di un massacro durato oltre quattro anni. Ma il nome di quel giovane attentatore è ben noto da sempre: Gavrilo Princip. Capelli corti, magro, basso di statura, occhi chiari, baffi appena accennati sul suo labbro superiore, fa parte del movimento denominato Giovane Bosnia ed aderisce all’organizzazione terroristica serba denominata Mano Nera. Di certo non era solo, ma lo affiancavano altri cinque sodali. Non le bombe degli altri attentatori ma i proiettili della sua pistola ferirono a morte i coniugi destinati ad ereditare l’Impero Asburgico. Troppo giovane per affrontare il patibolo, Gavrilo morirà di tubercolosi in carcere nel 1918 e non si pentirà mai del proprio gesto, anzi dichiarerà di essere disposto anche ad essere inchiodato ad una croce e di essere bruciato vivo, pur di illuminare la libertà della propria nazione. Il mondo lo ha maledetto a lungo. I parenti di milioni di morti lo hanno considerato non una mera pedina di interessi superiori, ma l’artefice involontario di un massacro. L’Austria lo condanna tuttora aspramente come un consapevole e malvagio terrorista. L’eccezione? La Serbia, che lo ritiene un patriota e che rammenta la frase utilizzata da Princip durante il processo: noi amavamo il nostro popolo. A celebrarne in modo unilaterale l’eroismo, esiste dal 2015 a Belgrado una statua commemorativa di Gavrilo Princip, più che mai ritenuto fondatore dell’indipendentismo serbo.
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Scheda del film

Regia
Uli Edel
Titolo originale
Der Baader Meinhof Komplex
Altri titoli
La banda Baader Meinhof
Durata
150 minuti
Genere
Drammatico
Data di uscita
2008
Dettagli dell’opera
Titolo
Statua di Gavrilo Princip
Autore
Dono di uno scultore locale
Tecnica
Bronzo
Realizzata nel
2015
Ubicazione