La trasformazione non violenta dei conflitti di Galtung
La filosofia ha sempre osteggiato la violenza, raramente ha superato le divergenze tra gli esseri umani e talvolta ha addirittura giustificato la guerra. Oltre ad una disamina sulla natura dell’uomo, urge anche un metodo operativo per comprendere le ragioni da cui trae origine ogni conflitto.
Fronte occidentale, 1914. Sono bastati pochi mesi per comprendere quanto spaventosa sia la Prima Guerra mondiale e come le inziali previsioni su una rapida risoluzione delle ostilità in poche settimane, fossero infondate. Per i soldati la trincea è l’unico riparo da mitragliatrici e granate e l’odio è accresciuto non solo dalla voglia di sopravvivere, ma anche dalle ideologie che sottendono le ostilità. Non a caso, il film si apre con un discorso patriottico pronunciato da tre scolaretti. Poco importa che la loro terra d’origine sia la Francia, la Germania o l’Inghilterra: patriottismo e disprezzo per il nemico sono alla base delle loro parole. La storia intreccia la vita di sei protagonisti che si ritroveranno tutti in prima linea. Vi sono tre ufficiali col grado di tenente.
Lo scozzese Gordon, il francese Audebert e l’ebreo tedesco Horstmayer. Completano lo scenario il religioso britannico Palmer, il tenore teutonico Sprink e la sua compagna Anna. L’episodio storico è noto e fondato: i militari nel periodo di Natale del 1914 cessarono temporaneamente le ostilità, contravvenendo agli ordini dei comandi generali e pagando anche a caro prezzo le conseguenze di quello che venne classificato semplicemente come un ammutinamento. La domanda sorge spontanea: com’è possibile che i sei protagonisti citati abbiano fortemente contribuito a questo breve ed intenso momento di pace? Poco più di vent’anni fa, il pensatore norvegese Johan Galtung propose il suo modello “Transcend”, derivato dal sincretismo di sei contesti religiosi per cercare la causa prima di ogni conflitto. In sintesi, Galtung è convinto che ogni forma di attrito tra gli uomini abbia una sorta di meta spiegazione e sia generata da uno o dalla compresenza di tre grandi problemi. Il primo è quello dei comportamenti o fatti. Siamo tendenti quando litighiamo a non riuscire a superare un evento ritenuto imperdonabile e reagiamo in modo aggressivo. Segue la logica del pregiudizio e della presunzione di conoscenza dell’altro e della certezza del perché abbia operato contro di noi. Chiude il triangolo della violenza quella che Galtung chiama contraddizione. Scoprire che l’altro è capace di mentire, non rispettare i patti, risultare illogico ci rende potenzialmente conflittuali. Nel corso delle vicende narrate in “Joyeux Noël” i protagonisti sono bravi non solo d’individuare le cause di ogni guerra nell’ottica proposta da Galtung, ma anche di applicare la soluzione al conflitto che questi offre.
Ciascuno dei tre ufficiali all’interno delle vicende narrate, chiede più volte di risparmiare i nemici. Appare incredibile come solo alcuni soldati abbiano difficoltà a recepire quello che più che un ordine è una fisiologica conseguenza. Horstmayer invita i suoi nemici a trovare rifugio nella propria trincea, affermando che di lì a poco sarebbe stata bombardata la postazione franco-scozzese. Pochi minuti dopo è l’esercito del kaiser a trovare riparo nelle stesse modalità e su invito di Audebert. Ecco il primo paradigma di Galtung: rispondere a comportamenti violenti con la non violenza. Il secondo invito è quello di rimediare a preconcetti e presunzione con l’empatia. Horstmayer rende il portafogli smarrito durante un assalto francese a Audebert. Rimarca come conosca bene quella lingua e di quanto sia adorabile Parigi, sperando di poter ricontrare quel suo avversario al termine delle ostilità nello scenario di una capitale europea amata da tutti. Entrambi ritengono opportuno raccogliere morti ed armi che giacciono al freddo e nella terra di nessuno. In special modo è rispetto all’orizzonte della contraddizione che l’invito di Galtung viene accolto: adoperarsi in termini di creatività.
Un’improvvisata partita di calcio, alla quale partecipano addirittura dei professionisti del Bayern Monaco impegnati al fronte nelle vesti di soldati, doni che partono dal cibo allo champagne, azzardi linguistici ed interpretazione di parole straniere divertono quelli che si sentono ex nemici e che vivono l’ingiustizia della guerra con spirito critico, rafforzato da quanto i loro governanti gli stanno imponendo. Horstmayer non è cristiano, ma britannici, francesi e tedeschi lo sono, al di là delle proprie reali convinzioni religiose. Sprink è stato il primo ad usare l’arte per sbloccare la situazione.
Dopo aver allestito degli alberi di Natale coi propri commilitoni sulla sporgenza della trincea, decide di uscire e di cantare. Ha intonato “Stille Nacht” senza esporsi al potenziale fuoco nemico. Le cornamuse degli scozzesi gli offrono lo spunto per cantare “Adeste fideles” e per uscire allo scoperto.
Tutti abbandonando armi ed elmetto. Ora il reverendo Palmer torna a fare il religioso e lascia il suo ruolo di barelliere. Potrà celebrare messa in latino, lingua più che mai non morta in quel luogo di distruzione dove si è smesso di uccidere per qualche ora.
PARERGA E PARALIPOMENA
I volontari dell’arte
La Prima Guerra mondiale è l’ultimo conflitto che ha registrato una massiccia adesione di entusiasti volontari, inizialmente ben felici di poter spendere la propria gioventù al servizio della causa della propria nazione. In tal senso anche diversi artisti si sono mossi in questa prospettiva. Sarebbe ovvio narrare la proposta italiana del manifesto del Futurismo, che inneggia alla guerra come “sola igiene del mondo”, ma la vera battaglia ideologica tra i pittori avvenne in Germania. Tra i massimi esponenti del movimento del Cavaliere azzurro troviamo Franz Marc. Ammiratore dei propri colleghi italiani futuristi, di cui visita anche nel 1912 una mostra a Colonia, combatté sul Fronte occidentale. La sua esperienza venne narrata in una raccolta di aforismi e schizzi. Restò sempre vicino alla guerra senza mai perdere lo spirito enfatico e militarista che lo aveva portato a voler andare ad affrontare i francesi. Nel 1916 venne esentato dal proseguire le ostilità per meriti artistici, ma proprio mentre stava per ripartire e nella sua ultima ricognizione a cavallo, due schegge di una granata lo ferirono a morte nei pressi di Verdun. Di contro, pittori come Otto Dix e George Grosz, non furono teneri nel narrare attraverso le proprie tele gli orrori cui avevano assistito e la degenerazione morale che intravedevano nel periodo post bellico della Repubblica di Weimar. Anche nel loro caso si tratta di due volontari. Dix fu più volte ferito e decorato: una sorta di eroe. Venne congedato solo nel 1918 ad armistizio firmato. Grosz fu impegnato solo nei primi mesi della guerra. Gli effetti perenni sulla sua psiche di quello che in ambito neurologico si chiamerebbe uno shellshock, ne resero necessario il congedo già nel 1914. Le immagini apocalittiche che questi artisti hanno proposto sono varie. Tra le tante, vale la pena ricordare un assalto delle truppe tedesche con le maschere antigas realizzato da Dix. Questi uomini appaiono come fantasmi deprivati della loro natura fisica, coperti nei volti e in una coltre di fumi letali.
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Scheda del film
Regia
Christian Carion
Titolo originale
Joyeux Noël
Altri titoli
Joyeux Noël – Una verità dimenticata dalla storia
Durata
116 min
Genere
Guerra, drammatico
Data di uscita
2005
Dettagli dell’opera
Titolo
Truppe d’assalto avanzano sotto un attacco coi gas
Autore
Otto Dix
Tecnica
Incisione su legno
Realizzata nel
1960
Ubicazione