Per vincere il razzismo non basta solo la cultura
Il razzismo non è solo il derivato dell’ignoranza. La riprova risiede in uno dei suoi padri ideologici e nell’analisi filosofica che ha articolato per dimostrare le sue tesi.
«Signore salvaci, questa casa è invasa dai negri!» Una frase, inaccettabile. E se a pronunciarla, invece, fosse una donna di colore? Diventa una battuta. È su questo spirito che si basa la vicenda rappresentata da Stanley Kramer. Ma se fosse un film che scaccia con lo scherzo ogni brutto epiteto, la sua profondità non sarebbe elevata. Il messaggio più grande è che i protagonisti, per quanto colti e raffinati, rischierebbero proprio per tale motivo di cadere nelle trappole del razzismo, proprio come il conte De Gobineau, l’autore del Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane. In esso vi sono decine di buone e ragionevoli pratiche per evitare l’inquinamento tra tre grandi ceppi razziali, dove, ovviamente, l’unico che dirige e guida la storia in modo positivo è quello bianco, caucasico, ariano. La caduta delle grandi civiltà passate, la mancanza di un’adeguata leadership perdurante, la morte di ogni forma culturale sono dovute alla commistione, ai matrimoni a sangue misto. Ed allora i motivi per i quali non celebrare il matrimonio fra John, raffinato medico di colore, e Joanna, splendida e fine rampolla di una famiglia liberale di bianchi sono innumerevoli, e tutti scientificamente sondabili proprio come per De Gobineau, ovviamente con un’idea di scienza molto flessibile. Tilly, la governante di colore, mostra un’ostilità per niente velata nei confronti di John, il futuro sposo.
La donna, infatti, ritiene che una persona appartenente alla sua “razza”, non debba «mettersi a un livello che non gli compete». Con l’arrivo di Matt, il padre di Joanna, le cose si complicano.
L’uomo inizialmente non capisce cosa sta accadendo intorno a lui, ma appena vi riesce, deve constatare che l’avvenimento non è per niente gradevole, malgrado le sue idee liberali. Per aggiungere un altro problema, come se non ve ne fossero abbastanza, John fa sapere in separata sede ai due genitori che, in caso loro avessero obiezioni, il matrimonio, che Joanna dà per certo, non si farà poiché non vuole mettere la ragazza nella condizione di scegliere tra lui e loro. Nella confusione interviene in modo poco convincente padre Mike Ryan, prete cattolico e amico di lunga data di Matt. Il parroco, presentato come una figura bonaria e sorridente, viene a far visita alla famiglia e, saputa la notizia, non vede malizia nel matrimonio tra i due, anzi afferma che i matrimoni “misti” da lui celebrati: «spesso sono quelli che durano per sempre. Forse perché richiedono una maggiore dose di buona volontà e comprensione di quanta ce ne voglia per quelli abitudinari».
La soluzione a queste insanabili contraddizioni? Uno straordinario monologo di circa sette minuti di Matt, si, proprio lui, il padre della futura sposa: «gli uomini che invecchiano dimenticano, quando i sensi hanno perduto quella antica importanza, che esiste una cosa che si chiama passione».
In questa frase c’è davvero poco di colto, di scientifico. Matt così apre gli occhi. Capisce di essere stato uno stupido e, dopo aver raccolto tutti in una sola stanza costellata di opere d’arte (fra cui c’è anche un Modigliani), riassume la giornata e mette in chiaro alcuni punti, comprese le sue titubanze, estese anche alla figlia che viene zittita e che rimane a bocca aperta. Il vecchio genitore però ammette di essersi comportato da superficiale e che, tra i tanti problemi che la coppia dovrà affrontare in futuro, lui non sarà tra questi e che prospetticamente non lo saranno nemmeno i genitori del futuro genero. Anche lui ha provato e prova lo stesso amore per la propria moglie: non è vero che non è in grado di farlo come asserisce la futura suocera. Inoltre afferma che esiste solo una cosa peggiore di qualunque pregiudizio, cioè che la coppia, cosciente di ciò che fa, non si sposi: i due hanno solo una diversa pigmentazione della pelle, nulla più.
Il modo migliore per vincere i presupposti filosofico-scientifici del razzismo, non sempre risiede in approcci e modelli teorici differenti, ma in quella contrapposizione che due “esseri speciali” possono costituire per difendere la coppia, come dice Spencer Tracy, al secolo Matt Drayton, da milioni di persone per tutta la vita.
Parerga e Paralipomena
Gli animali giudici del mondo umano in Esopo
Tra i più infausti esiti del razzismo vi è quello di ritenere gli uomini ripartibili per razze e di compararli anche ad una visione etologica di superiorità ed inferiorità. In sostanza, esattamente come siamo tendenti a dire che un cane abbia qualcosa in più sotto ogni punto di vista di un’ameba, allo stesso modo possiamo immaginare che variabili antropologiche possano denotare maggiore o minore importanza tra alcuni esseri umani ed altri. Sin dai tempi in cui il razzismo non era filosoficamente definito ma effettivamente praticato e la schiavitù era non solo lecita ma anche auspicata, i migliori interpreti dei comportamenti degli uomini sono gli animali. Il padre della tradizione favolistica era non a caso uno schiavo: Esopo. Nessuno ha mai pensato che quelli di Esopo fossero da considerarsi come animali veri, ma le loro critiche erano efficaci, giacché alludevano, ad esempio, all’intelletto da asino di un uomo senza citarlo o alla vigliaccheria di una cornacchia senza fare menzione di alcuna persona. Il lettore comprendeva bene come quella morale doveva essere anzitutto interpretata e poi applicata alla vita. Gli animali di Esopo fanno semplicemente “gli animali”. Gli stupidi sono gli uomini, quelli che si comportano male sono soltanto loro. Non è casuale che l’amore del pittore Gabriel von Max per le scimmie fosse estremo. Le allevava ed utilizzava come modelle per i suoi quadri, ritenendo che fossero superiori all’uomo corrotto da secoli di civiltà e di false informazioni culturali, tra cui il razzismo. Nella sua opera Giudici d’arte, tredici scimmie svolgono lo stesso compito che hanno i critici d’arte, personificando la vanità come vizio della natura umana. Come in Esopo non c’è bisogno di fare il nome di alcun uomo perché a parlare sono gli animali.
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Scheda del film
Regia
Stanley Kramer
Titolo originale
Guess who’s coming to dinner
Indovina chi viene a cena
Durata
107 minuti
Genere
Commedia
Data di uscita
1967
Dettagli dell’opera
Titolo
Giudici d’arte
Autore
Gabriel Cornelius von Max
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1889
Ubicazione