Il diritto alla felicità di Donna Eleonora
L’oppressione della tirannide non mira esclusivamente a negare le libertà di un popolo, ma anche esercizio di un diritto individuale, di cui la filosofia discute da secoli: quello di essere felici in un modo personale e senza imposizioni.
Tratto dal romanzo di Enzo Striano, il film racconta della vita di Eleonora de Fonseca Pimentel, per i napoletani che l’hanno ospitata fino al momento della dura repressione e della condanna a morte, semplicemente Donna Eleonora. La nobile di origini portoghesi che aveva rinunciato al prefisso “de” nel proprio cognome ed ai suoi privilegi, coltiva il sogno di una repubblica nel 1799 ed è presentata come una donna colta, raffinata, timida e fragile, sposata con un uomo rude e violento. Ma gli eventi che la travolgono, sino al rifiuto della grazia promessa ed all’infamante impiccagione, in una condizione di semi nudità, hanno una comune matrice filosofica: la lotta per il diritto alla felicità. Si tratta non solo di un paradigma che proviene direttamente dalla tradizione delle Rivoluzioni americana e francese, ma direttamente dal mondo greco.
Stiamo parlando dell’Eudemonismo, un concetto che è stato sempre compreso tra il godere di buona salute, il possedere dei beni materiali ed il vivere in una situazione d’animo imperturbabile. La lista dei filosofi che a partire dall’antichità hanno perseguito questo fine è davvero lunga. Eleonora ha voluto nella sua vita una giusta compresenza di ogni tendenza eudemonica, cercando con coraggio di reagire. Per la sua serenità ha operato la scelta del divorzio: aveva maturato anche di togliersi la vita, imprigionata in un matrimonio senza amore e nel dramma per la morte del proprio bambino.
La scena in cui si fa festa in riva al mare mentre suonano le tammorre e si parla in francese è particolarmente indicativa. Eleonora ha trovato la forza di rompere un infelice legame: desiderare la felicità è il primo passo per far comprendere a tutti di averne il diritto. In fondo il mondo sta cambiando.
Per il popolo che l’aveva accolta ed amata, aveva in mente una felicità diffusa che derivasse dalla rivoluzione “la libertà dev’essere intera, totale e senza privilegi. Deve farti felice, altrimenti è ipocrisia. Tutti dovrebbero avere in testa la volontà di cambiare il mondo”.
Così la scopriamo attenta alle voci dialettali, attiva nell’aprire il teatro San Carlo a tutti, gioiosa ballerina ma anche sagace giornalista e scrupolosa artefice di una carta costituzionale. Nelle pagine del Monitore napoletano, Eleonora ha un progetto ulteriore da voler realizzare a Napoli: educare alla felicità, far comprendere che non il lavoro, non il denaro, non le feste sono il problema, ma la necessità di un impianto stabile di benessere collettivo che gradualmente dovrà essere realizzato. Ma c’è un’ultima prova da superare: la morte. Saprà esser capace di realizzare il diritto alla felicità anche di fronte al tribunale che pronuncerà una sicura condanna? In compagnia di Domenico Cirillo, grande anatomopatologo e presidente della commissione legislativa repubblicana, Eleonora si difende rimarcando di non essere suddita, ma libera cittadina. Questo diritto le deriva direttamente dal principio della conquista, paritetico al potere dei Borbone. Per lei e per la schiera d’intellettuali che la segue sul patibolo non c’è scampo. Un umile frate le chiede se vuole confessarsi ed è stupito del fatto che non abbia paura della forca. Eleonora ha raggiunto l’imperturbabilità.
Cosa potrà fare? Vorrebbe ritrovare tutti i suoi compagni di lotta, ma ora cosa resta? Niente, il resto di niente, espressione idiomatica che ha appreso in quegli anni e che non è motivo di dolore ma di assenza di turbamento. In fondo aveva fatto di tutto per poter realizzare un sogno. Un ultimo insegnamento filosofico che potrebbe provenire dalle sue scelte è proprio quello di non disperarsi di fronte alle sciagure. Il vero dovere da cui non ci può sottrarre, per non avere rimpianti, è la ricerca della felicità: tutto il resto è niente.
PARERGA E PARALIPOMENA
Il cambiamento
Mutare l’ordine di qualsiasi situazione stabile costa un’incredibile fatica e paura. Per gli uomini risulta spaventoso ogni cambiamento. Un trasloco, un lavoro differente, una nuova relazione sentimentale, un’automobile più sicura e confortevole non sono solo motivo di tensione in funzione degli esiti futuri che potrebbero riservare, ma anche rottura di uno status quo che riteniamo base di serenità. La lezione di Donna Eleonora è speculare a quella di un’altra donna della Rivoluzione napoletana del 1799: Luisa Sanfelice. Anch’ella distrutta da un rovinoso matrimonio, afflitta dai debiti e dalla reclusione forzosa, fu capace di concepire la necessità di passionali relazioni extraconiugali, per salvarsi dalla trappola di una vita piatta e stagnante. Per questo, la ricerca della felicità venne sintetizzata dai giacobini partenopei anche con il desiderio di un nuovo amore, un cambiamento necessario e forse fisiologico nella vita di tutti. La locuzione tipica dei balli di gruppo settecenteschi “changè la dame” diventa un motto ed un’opportunità allusiva. Si può cambiare moglie o marito se sono la causa della nostra infelicità, se diventano l’essenza del nostro dolore. Questo deve valere per ogni aspetto situazionale della nostra esistenza, altrimenti anche il software di un nuovo telefono potrà rappresentare una novità insostenibile. L’artista pop americano Roy Lichtenstein ha interamente basato sul cambiamento la sua attività, immaginando che la decostruzione è alla base di ogni variazione positiva. Un fumetto, un’immagine pubblicitaria sull’elenco del telefono, un’icona del cinema possono essere scomposti e ricostruiti, magari narrando cosa il loro animo avrebbe potuto raccontare qualora avessero avuto vita umana. La suggestione più profonda? Forse quella di una comic strip con una giovane cantante. La bionda star sgrana i suoi enormi occhi ed afferma che la melodia che si accinge ad intonare è una sorta di persecuzione per le fantasticherie della sua mente. In fondo il problema più grande di chi suona e canta è il dover provare e ripetere più volte la stessa composizione: magari anche loro desiderano un cambio di programma durante lo spettacolo.
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Scheda del film
Regia
Antonietta De Lillo
Titolo originale
Antonietta De Lillo
Durata
103 minuti
Genere
Drammatico, storico
Data di uscita
2004
Dettagli dell’opera
Titolo
The Melody Haunts My Reverie
Autore
Roy Lichtenstein
Tecnica
Serigrafia a colori
Realizzata nel
1965
Ubicazione