La disputa sugli universali
Il Medioevo ha proposto degli scenari che ribaltano il luogo comune di un’epoca buia e priva di slanci di modernità. Senza alcune questioni filosofiche rivolte al passato, non avremmo conosciuto originalità ed individualità, riferimenti ingiustamente analizzati solo a partire dall’Età umanistico-rinascimentale.
Adso non è più un novizio. Ora è un uomo maturo, pronto per parlare della sua gioventù e per raccontare una vicenda biografica personale che lo coinvolge ancora intimamente. Questa è la storia di un’esperienza forte, di un’indagine di alto livello investigativo, di uno spaccato di un Medioevo oramai agli sgoccioli.
Il nome della rosa è tutto questo, ma c’è dell’altro. Non solo perché al centro della narrazione c’è il secondo libro della Poetica, ma anche perché nelle vicende rappresentate vi è la volontà di analizzare una delle più note dispute filosofiche della storia del pensiero, quella sugli universali. La questione da dipanare era davvero complessa. Se è vero che tutti sono pronti a dire che esistono vestiti, spade, fiori, libri ed ogni altro genere di oggetto, quello che a partire da Platone e Aristotele non era stato adeguatamente chiarito è l’effettiva esistenza di ogni cosa nel mondo in rapporto all’uomo. La realtà dipende dalla visione che ne fornisce l’uomo o esiste anche senza la nostra rappresentazione? Questo quesito divenne centrale anche in seno al Cristianesimo. Pur esistendo diverse posizioni intermedie, per centinaia di anni i filosofi medievali si divisero fondamentalmente in due fazioni, nominalisti e realisti, degnamente rappresentate da due personaggi all’interno delle vicende del film: Guglielmo da Baskerville ed Jorge da Burgos.
Il primo non è solo un abile detective, ma nel suo nome di battesimo richiama al pensatore Guglielmo di Occam, grande sostenitore del nominalismo estremo, quasi di tipo relativistico. Secondo questa interpretazione, le singole cose del mondo sono accomunate soltanto dai concetti mediante cui noi le descriviamo o addirittura dai nomi che noi attribuiamo loro. Nella realtà non esiste nulla oltre le cose singole ed è l’interpretazione dell’uomo che dà valore ad esse (post rem). Jorge da Burgos è ostile ad ogni cambiamento, ad ogni innovazione. Più che mai è un realista radicale come il filosofo Anselmo d’Aosta: gli universali sono nella mente di Dio (ante rem) e sono riscontrabili nelle cose del mondo (in re). Poco conta che il singolo uomo voglia individualmente fornire un’opinione divergente sulla realtà: è solo una conseguenza marginale. Lo scontro tra Guglielmo e Jorge è continuo all’interno della narrazione, ed i tratti dell’appartenenza al nominalismo ed al realismo sono presenti sempre, anche quando un topolino porta i frati amanuensi a ridere.
Per Guglielmo ridere è un atto naturale, personale e specifico della natura umana, per Jorge è la deformazione del volto, la similitudine agli atteggiamenti delle scimmie e l’immonda inclinazione al peccato. Il nominalismo di Occam significa fiducia totale nell’uomo e nei suoi mezzi: una sorta di anticipazione dell’Umanesimo in chiave logica.
Lo si vede bene allorché Bernardo Gui, feroce inquisitore, viene chiamato per far luce sulle misteriose morti del convento. Queste non sono conseguenti all’adesione all’eresia dolciniana di frate Remigio e del poliglotta e deforme frate Salvatore. Gli omicidi non sono originati nemmeno dall’alleanza col Maligno di una giovane e presunta strega. I delitti hanno una radice umana, un disegno razionale, una logica. Anche in questo, Guglielmo da Baskerville è aderente alla dottrina del suo omonimo filosofo. Gli allievi di Guglielmo di Occam chiamarono “rasoio” proprio l’inclinazione del loro maestro ad eliminare inutili elementi all’interno di un ragionamento, per essere snelli e diretti. Anche Adso scopre questa semplicità quando il suo maestro gli farà notare come le impronte nella neve fossero più profonde a causa del fatto che erano state lasciate dalla sovrapposizione di diversi piedi negli stessi solchi. Lo stesso titolo del libro di Eco e del film deriva da un’espressione con cui si chiude il romanzo: Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus, cioè “la rosa originaria esiste solo nel nome, perché i nomi delle essenze sono nudi”, perché non rimandano a nessuna cosa reale, siamo noi ad averglieli assegnati. Apertura e chiusura, sono coincidenti anche nella scena finale del film.
Adso e Guglielmo stanno per lasciare il monastero. Lungo la strada li attende la ragazza accusata di stregoneria e scampata al rogo, con cui quel novizio aveva anche condiviso il piacere dell’amore fisico e rispetto alla quale viveva un sentimento ricambiato. Adso non ha nessun obbligo di seguire il maestro, che lo osserva da lontano. La sua è una scelta nominale tra lasciare l’ordine di San Francesco o proseguire la strada della fede e dell’obbedienza. Adso non conoscerà mai il nome di quella giovane, suo unico amore in un’intera vita, ma la decisione di proseguire con Guglielmo è oramai presa.
PARERGA E PARALIPOMENA
Cambiare idea
Un vecchio adagio recita che solo gli stupidi non cambiano idea. Più che mai questo assunto è confermato dalle posizioni filosofiche di Umberto Eco. Quando nel 1980 uscì Il nome della rosa, la sua posizione filosofica era fortemente orientata alla difesa del nominalismo. In essa, Eco riscontrava probabilmente la necessità di rimarcare il primato di un pensiero libero contro ogni forma di oscurantismo, nonché la volontà di sottolineare l’incredibile modernità dei dibattiti culturali medievali comparati alla contemporaneità dell’ultimo ventennio del Novecento. Col tempo, le sue posizioni mutarono radicalmente. In opere come Kant e l’ornitorinco, Eco fa i conti col fatto che la realtà per come si palesa all’uomo è sempre superiore alle sue interpretazioni. Non a caso quando nel XVIII secolo l’Europa conobbe lo strano animale esotico proveniente dall’Oceania, tutto lo schematismo tassonomico di cui era intriso l’Illuminismo andò in crisi. Come fare a classificare un mammifero col corpo di una lontra, le zampe ed il becco di una papera e che depone le uova come una gallina? In effetti il salto tra la realtà e le sue interpretazioni è tipico anche dell’arte. Più che mai questo paradigma caratterizzò gli ultimi anni della vita di Antonio Ligabue. Tormentato dall’isolamento forzoso e dell’emarginazione della sua patologia mentale, vedeva nel conforto dei versi degli animali gli unici esseri con cui potesse relazionarsi senza filtri. Molte delle sue tele finirono come supporto alle stie. Meglio custodire i polli che potenziali capolavori. Oggi le grida di dolore dei felini come del pittore naif sono una realtà che sconvolgerebbe chiunque, anche chi non aveva mai creduto in lui.
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Scheda del film
Regia
Jean-Jacques Annaud
Titolo originale
The Name of the Rose
Altri titoli
Il nome della rosa
Durata
126 minuti
Genere
Drammatico, guerra, satirico, thriller
Data di uscita
1986
Dettagli dell’opera
Titolo
Leopardo su roccia
Autore
Antonio Ligabue
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1956
Ubicazione