Il male morale in Agostino
Il mondo appare ingiusto. L’imperfezione che caratterizza alcuni esseri, le grandi catastrofi naturali, le sciagure, le malattie e le cattive azioni commesse verso i nostri simili sembrano non avere una giustificazione plausibile.
Un luogo di silenzio dove si vive in preparazione dell’esecuzione della propria sentenza: è la sezione del braccio della morte di Cold Mountain. Qui lavora come guardia carceraria Paul, nel periodo tra le due guerre. Lo strato di linoleum verde che conduce alla sedia elettrica dà il nome di the green mile a questo macabro ultimo tratto da percorrere a piedi.
Il giovane secondino cerca di svolgere al meglio il proprio lavoro, specie nelle procedure che caratterizzano le ultime ore dei condannati. Il suo più grande tormento? Non già sorvegliare criminali incalliti, ma gestire l’infezione alle vie urinarie che lo affligge. Paul farà presto i conti con un problema filosofico caro ad Agostino: il male morale. Saranno tre personaggi chiave ad indirizzarlo verso questo percorso, nell’ordine il suo collega Percy e i detenuti Wild Bill Wharton e John Coffey. Percy è un uomo sadico, spietato.
Spalleggiato dal potere della divisa e da quello del padre che lo ha introdotto in quel contesto lavorativo, vive per infliggere tormento al prossimo: è il suo maggior piacere. Poi c’è un soggetto folle, sconclusionato, imprevedibile: Wild Bill è il prototipo dell’omicida psicopatico. Un uomo fuori controllo che compie continuamente gesti insani. Tutto sommato a questo tipo di delinquenti la tradizionale visione psichiatrica e giuridica dà una precisa connotazione. Ma John Coffey sembra non essere facilmente inquadrabile. La sua corporatura è colossale ed il reato è imperdonabile: l’omicidio di due gemelline.
Paul sembra non vedere in quegli occhi alcuna forma di cattiveria e gradualmente comincia ad avere prima una simpatia e poi un’amichevole stima per quel gigante pieno di muscoli. La dote più grande del possente uomo di colore è la capacità di trattenere e di eliminare il male fisico che risiede nelle persone. Questo consentirà a Coffey non solo di dimostrare a Paul la propria innocenza ma anche di dare prova di come tremende malattie possano essere sanate all’istante, facendo sua una forma di dolore fisico o addirittura un tumore.
Sarà così che il dolore alla vescica di Paul svanirà. Ma l’opportuna volontà di riflettere sul male. nella visione cara ad Agostino. deriva proprio da un discorso accorato di John. Questi afferma di essere stanco del “male che gli uomini fanno agli altri uomini”.
Questa forma di malvagità non è quella fisica, come una malattia, oppure occasionale, come una sciagura o un incidente, ma la più profonda analisi sul male, denominato morale. Coffey è così stanco di questo intimo e lacerante dolore dell’animo, che preferisce affrontare la morte piuttosto che continuare a fungere da catalizzatore di questo tormento. Non la fuga, avallata da Paul, non un’azione a tutela della sua discolpa di ogni tipo, non un sacerdote a confortarlo perché a questa malvagità sembra non esservi rimedio possibile o logica ponderabile. L’umanità non smetterà mai di sbagliare, di fare del male al prossimo. Il quesito sorge spontaneo: perché Dio, pur essendo infinitamente buono, avrebbe fatto una creatura capace di fare del male come l’uomo? Sicuramente è più semplice liquidare eventi fortuiti o disgrazie, ma risulta difficile accettare che l’uomo sia nato per essere cattivo. A queste domande la risposta di Agostino è perentoria. L’uomo può scegliere, non è un ottuso automa che si propone come semplice esecutore delle proprie azioni, ma ne è autore. Quando l’uomo fa del male ai propri simili, egli ha optato per i beni del mondo contro l’infinito Bene che deriva e che porta a Dio. Rubare, mentire, ammazzare, muovere violenza sono atti che apparentemente offrono vantaggio, ma saranno la strada non solo verso una dannazione futura, ma anche per il tormento terreno. Non a caso John Coffey può punire e può sanare per mano di Dio, attraverso una volontà di cui è solo medium, tramite. Per lui non ci sarà scampo: la sedia elettrica gli toglierà comunque la vita e Paul nulla potrà rispetto all’esecuzione di un innocente oramai esausto di vivere. Questo supplizio è l’acme del male morale rispetto al quale la forzuta vittima dal nobile animo non vuole opporsi.
PARERGA E PARALIPOMENA
La condivisione del dolore
Una delle opere più profonde di Dostoevskij prende spunto da una forte esperienza parzialmente autobiografica. Dopo essere stato inizialmente condannato a morte per reati politici, la pena venne commutata, proprio davanti al plotone d’esecuzione, in un indeterminato periodo di lavori forzati in Siberia. La narrazione degli eventi prosegue con un alter ego di Dostoevskij che in forma di diario descrive le vicende di quegli uomini, tutti responsabili di crimini efferati. Il titolo del romanzo è Memorie dalla Casa dei morti. Ma quale morte regna sovrana in quelle baracche? Quelle persone hanno sventrato, squartato, commesso infanticidi, fatto a pezzi le loro stesse famiglie. Sono confinate nella più remota regione dell’Impero zarista solo con lo scopo di restare fisicamente in vita. Sono già morti, poiché la loro dannazione è certa ed a giudizio dei loro stessi carcerieri, il perdono di Dio è fuori discussione. Non tutti i detenuti sono cristiani, ma l’unico libro che possono leggere e che non gli è proibito è il Vangelo. Nel capitolo denominato La festa del Natale di Cristo, l’io narratore comprende come l’evento del Natale possa accomunare tutti, consentendo una speranza che è extra cristiana, ovvero quella di un’indulgenza umana e non divina verso i malfattori. In fondo, chi compie il male nella sua più estrema forma talvolta è solo un uomo inconsapevole del danno che ha arrecato all’umanità intera e confina nel solo atto criminale l’atrocità di cui si è macchiato: una sorta di infelice e sfortunato personaggio. Nel 1849 in un contesto diverso ma coevo, il pittore francese Gustave Courbet denunciò l’inutilità del lavoro forzoso e pesante come fonte di redenzione. Anche se l’uomo ritratto, unitamente al suo garzone, è giuridicamente libero, questi vive un’esistenza precaria proprio come un condannato. L’arte proibiva, di fatto, la rappresentazione di povertà ed indigenza, considerate frontiere dell’essere poco nobili. Senza una cura estrema della prospettiva e dei soggetti, la lezione di Courbet è proprio la volontà di recupero della dignità personale di chi è costretto a lavorare senza una finalità. Un destino amaro non solo per i protagonisti, ma anche per questa tela: forse una censura del destino la volle distrutta nel bombardamento di Dresda del 1945.
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Scheda del film
Regia
Frank Darabont
Titolo originale
The Green Mile
Altri titoli
Il Miglio Verde
Durata
189 minuti
Genere
Drammatico, fantastico
Data di uscita
1999
Dettagli dell’opera
Titolo
Gli spaccapietre
Autore
Gustave Courbet
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1849
Ubicazione