Pawel e la Morte di Dio
La più paradossale ed abissale delle sentenze della filosofia: Dio è morto. Tutte le certezze sia di chi crede in ogni forma di fede che di chi non vi crede non hanno più senso. Come agire se fede e ragione non ci orientano più?
Un uomo non patisce il rigido inverno di una Polonia fine anni Ottanta. Ha una giacca di montone, uno sguardo glaciale, come le temperature cui si sottopone ed una vita da trascorrere all’addiaccio, davanti al fuoco e nei pressi di uno dei tanti palazzi di periferia dell’Est Europa.
Questo homeless sembra essere fuori contesto rispetto alla vicenda di un ragazzino. Come tutti i suoi coetanei, Pawel divide la sua esistenza tra la scuola ed i giochi. Ha due genitori, evidentemente separati, tratto inusuale nella sua cattolica terra d’origine, che da un decennio ha addirittura un papa a rafforzarne la fede. Vive prevalentemente con il padre Krzysztof, un uomo brillante ed intellettualmente vivo. È un docente universitario di un qualcosa a metà strada tra fisica, logica, intelligenza artificiale, filosofia del linguaggio ed informatica teorica. Ha una casa completamente domotizzata ed un computer, data l’epoca, efficientissimo. È un convinto ateo. Irena è sorella di Krzysztof ed ovviamente zia di Pawel. Credente ma non bigotta. Devota a Giovanni Paolo II ed attenta alla spiritualità. Pawel aumenta ogni giorno il numero dei push-ups che fa a terra col padre. Assiste alle lezioni del genitore, risolve quesiti di termodinamica col supporto del computer in cui troneggia un I’m ready, gioca partite multiple contro un abile scacchista (come imponeva la moda dell’epoca) ed ovviamente fa delle domande come tutti i bambini.
Fra queste l’immancabile “cosa succede quando si muore?”. Krzysztof ha una risposta fin troppo scontata.
Nulla. Il cuore smette di battere. Da quel momento in poi saremo ricordati per quello che abbiamo prodotto in vita e lo scopo della vita stessa non è che questo: fare qualcosa di buono affinché un giorno si possa essere ricordati. Irena non la pensa certo così: per lei non ci sono semplicemente il Paradiso e l’Inferno. Se un calcolatore non può conoscere cosa stia sognando la madre di Pawel, nulla è davvero spiegabile con formule ed algoritmi. Il nipotino sembra crederle poco. Per lui come per i teorici dell’Intelligenza Artificiale forte è solo una questione di un numero ridotto di byte: quando il computer non ha una risposta, lo dice con chiarezza prima del cursore lampeggiante. Questa impostazione razionalistica è talmente radicata che per sapere se si potrà pattinare dopo sul laghetto ghiacciato di fronte casa, Pawel ha chiamato su invito del padre all’istituto metereologico per più giorni di fila. Ha appreso la temperatura media ed ha dedotto che la mattina dopo potrà pattinare in sicurezza: su quello strato di ghiaccio potrebbe insistere anche il peso di quattro uomini robusti. Nella sua passeggiata serale, Krzysztof ha anche appurato con un test empirico che tutto andrà benone. Sotto gli occhi cerulei ed impassibili del nostro immancabile clochard si svolge il dramma che nessuno desiderava. Le incertezze sono tante. Pawel è cercato da padre e zia ovunque ma è estratto dai soccorritori da un’inspiegabile voragine apertasi nel laghetto di ghiaccio. Oramai è morto. Altri eventi imponderabili accadono o sono accaduti in connessione alla tragedia.
Un calamaio si è rotto senza che nessuno lo abbia toccato, il computer si accende senza che nessuno lo abbia azionato: ora quella scritta I’m ready pesa davvero. Disperato, Krzysztof va in chiesa. Nota che un’icona mariana, forse proprio quella della Vergine Nera di Czestochova sembra piangere per un rivolo di cera.
Non gli resta che prendere l’ennesimo tassello di ghiaccio: è l’acqua santa solidificata con la quale si segna la fronte in cerca di conforto. È possibile nel primo dei dieci mediometraggi che Krzysztof Kieslowski ha dedicato ai comandamenti intravedere il tema della morte di Dio presente nell’aforisma 125 de La Gaia Scienza? Probabilmente sì, se ne enucleiamo i personaggi e le scene in rapporto alla sua lettura simbolica.
Il nostro clochard è l’uomo folle. Ma qui non sta annunciando che Dio è morto urlando. Unico tratto comune è il fuoco, che nella lanterna o a terra è presente. Nel suo silenzio, sembra annunciare il tratto tipico del nichilista passivo di Nietzsche. Vorrebbe tanto un nuovo Dio in cui credere ma non riesce a trovarlo e così assiste impassibile alla vita stessa, in disparte rispetto al mondo. Krzysztof e la sorella Irena sono ateo e credente, ma poco importa. Come scrive Nietzsche sono loro che hanno ucciso Dio, poiché dobbiamo accennare alla ben nota questione topica nietzschiana. Dio è una regione in cui la fede nel senso religioso (di Irena), quella nell’extra razionalità (uno spirito di finezza dato dal non poter sondare i sogni da parte di un calcolatore), quella nel progresso (testimoniata dai tanti riferimenti a differenti scienze enunciate nel film), l’ateismo (di Krzysztof) sono tutte alla pari poiché “fedi cieche”, principi estranei al divenire del mondo che però condizionano il mondo stesso. La rottura del ghiaccio, del calamaio, ed il computer che funziona da sé, sono il crollo delle certezze della Metafisica di cui l’uomo folle parla attraverso i simboli del sole, della terra e così via. Il finale è coincidente in modo preciso con quanto proposto da Nietzsche: l’uomo folle che si reca nei mausolei di un Dio morto è identico alla gestualità del padre di Pawel. Le stesse chiese appaiono prive di solide certezze divine coi loro simboli fatti di madonne piangenti cera e di acqua santa ghiacciata.
Parerga e Paralipomena
Quale Dio è morto?
La sentenza sulla morte di Dio di Nietzsche è tra le più controverse della storia del pensiero. Pur essendo un bersaglio ben preciso, secondo Nietzsche ha perso di significato ogni forma di fede al di là del Dio cristiano. In effetti questa profezia avrà modo di compiersi soprattutto nel XX secolo. Il crollo delle certezze della fisica, della chimica, della matematica e della stessa filosofia nella crisi dei fondamenti è una prima riprova. Parole chiave come massa, peso, spazio, tempo, velocità, atomo, Io, sostanza non hanno più modo di rappresentare una certezza per l’uomo che si chiederà se riscrivere tutti i libri delle discipline che erano state oggetto di studio da migliaia di anni o se il passato rappresenterà un capitolo a parte. Ma questa morte di tutte le certezze culturali del passato ha anche un ulteriore esito negativo: l’impossibilità di rimpiazzare, secondo Nietzsche, la figura del Dio in cui si credeva con un nuovo idolo. Questa problematica ha origini molto precedenti al passaggio tra XIX e XX secolo. Essa trova nella pittura evidenti momenti di rottura come la necessità di proporre una prospettiva nei quadri. Ne sapeva qualcosa Andra Mantegna che dovette rappresentare nel suo Cristo morto non solo Dio morto nella sua natura fisica, ma anche vivo in quella divina. L’espediente è noto: dipingerlo prospetticamente dal punto di vista dei piedi e renderli prospetticamente non proporzionati al corpo, altrimenti l’intera figura del cadavere sarebbe risultata poco simmetrica ed armonica. La morte di Dio e della prospettiva in un’epoca storica in cui il trionfo della fede e dell’armonia nella storia dell’arte erano da poco nati e la facevano da padrona.
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Scheda del film
Regia
Krzysztof Kieślowski
Titolo originale
Il decalogo parte I
Altri titoli
Dekalog, jeden
Durata
55 minuti
Genere
Drammatico
Data di uscita
1988
Dettagli dell’opera
Titolo
Cristo morto
Autore
Andrea Mantegna
Tecnica
Tempera su tela
Realizzata nel
1475/1478
Ubicazione