Il principio responsabilità di Jonas
Si può delegare la propria responsabilità quando non si è direttamente artefici di un crimine? L’ambiente inquinato, l’economia in crisi, i conflitti perenni e persino la morte del prossimo non possono essere sempre scaricati sugli ultimi protagonisti in negativo di una sequenza di atti.
Se Alberto Sordi, al secolo Pietro Chiocca, la smettesse di vendere armi ai vari Stati africani in lotta intestina tra di loro, sarebbe meglio per tutti. Come si fa a difendere eticamente chi vende morte? Eppure, in questo film, l’interrogativo da porsi è un altro: che cos’è la responsabilità di un individuo? Inoltre, essa è esclusivamente personale o dipende da fattori collettivi? Hans Jonas, includendo questioni per l’epoca innovative come la bioetica e l’ecologia e recuperando i capisaldi del kantismo, offre nel suo celeberrimo “principio responsabilità” proprio una risposta collimante all’azione del rappresentante di pistole e bazooka.
Per lunghi minuti e nella disamina iniziale della trama, Chiocca appare quasi simpatico. Legittimo erede dell’illustre stirpe del genio italico, è in grado di ben districarsi con lingue sconosciute, ovviamente con l’arte del commercio. Corrompe, mente, truffa, raggira. Con l’abbonamento in tribuna alle partite della sua squadra del cuore, fa trattenere in aeroporto, fingendosi un sanitario romano che scova i malati di un’epidemia, il suo più acerrimo rivale, che viaggia in business class e beve champagne sui voli transcontinentali. Sa di essere il più bravo, e sfrutta ogni occasione per dimostrarlo: persino delle uova di gallina o dei pesci palla sono bersagli efficaci per uno spettacolo con delle mitragliatrici, messo in atto da due novelli mercenari, ovviamente tedeschi come i lanzichenecchi. Questo richiama Jonas, che ci ricorda la seduzione della tecnologia, il fascino dell’onnipotenza, della scienza, della tecnica, suggestioni che ci fanno dimenticare che esiste un limite, per l’appunto dettato dalla responsabilità, alle nostre azioni individuali rispetto ad un’ottica universale. Le frasi ad effetto che Chiocca ben conosce sono tante e le circostanze in cui declamarle lo incoraggiano.
Una Mercedes bianca, regalo per la comunione della corpulenta figlia di un altrettanto gigantesco generale, non è solo un’automobile con cui operare nella corruzione, ma l’occasione per la citazione di un motto fascista “l’aratro traccia il solco, ma è la spada che lo difende”. Ma c’è un momento in cui Pietro ha una sorta di conversione, quasi graduale.
Prima quando assiste, nella cabina di volo biposto di un jet da guerra, al folle gioco del pilota Rabal, che lancia missili contro le donne e i bambini innocenti dei guerriglieri, poi quando si trova, guidato da quello che poi si rivelerà un giornalista in incognito, nel bel mezzo di un bombardamento in un villaggio. Sangue, urla, pianti sono quella coscienza che Jonas richiede di acquisire ai suoi lettori e che lui ha sotterrato: come per la bellezza, anche il dolore diventa universale se si assiste a tanti atti della stessa specie, a tanti momenti di dolore altrui.
Le sofferenze collettive possono essere interiorizzate meglio secondo Jonas. Sarà possibile cambiare vita? Certo, ma il processo che lo attende è duro. Pietro Chiocca è tornato a casa. Lo sguardo truce del suocero, ex gagà napoletano, le parole orribili dei figli ” tu sfrutti il sangue dei neri!”, il mancato saluto dei vicini di casa, il silenzio della moglie: ora tutti sanno tutto e l’opinione pubblica coincide con quella del suo nucleo familiare. Facile a dirsi e a farsi: il suo volto ed il suo nome sono in prima pagina sul più noto quotidiano italiano. Tutti contro di lui. Qui Jonas coinciderà in un modo incredibile con le riflessioni che scaturiscono dalla voce del rappresentante di morte: Pietro cambierà lavoro, ma ciò che è onesto, rende poco denaro.
La sua famiglia è disposta a tornare in un appartamento, abbandonando la mega villa dei “pochi lotti per pochi eletti”? La discoteca privata, le motociclette, i soldi per il vizio del gioco. Tutto questo ha un prezzo e qualcuno va depredato. Chi ha visto il finale scopre l’amara sentenza. Chiocca ha nel cuore l’etica di Jonas, la sua famiglia no. Crede di aver dormito sino al mattino successivo, ma è stato scelto di destarlo anche prima dei 45 minuti di riposo che aveva richiesto. Ora c’è un altro aereo da prendere ed altre povere vittime da mietere. Pietro lo sa, gli altri ballano, riscaldano i motori delle loro Yamaha ed aspettano le carte dal mazziere al tavolo verde…
PARERGA E PARALIPOMENA
Dipingere responsabilmente
Oggi ci viene richiesto di guidare, insegnare, costruire, giocare in modo responsabile, anche al di là dell’impostazione filosofica di ogni azione. Si può immaginare che il paradigma della responsabilità sia estendibile anche all’arte, specie se pittorica? Tutti conosciamo Vasilij Kandinskij per le sue forme geometriche e per lo straordinario utilizzo del colore della sua produzione. Pochi immaginano che l’artista russo abbia scritto nel 1912 Lo spirituale nell’arte, un vero e proprio saggio d’impostazione etica e non già soltanto estetologica. Tre sono gli elementi di cui un artista deve tener conto nella sua produzione. In primis, la personalità, quell’interiorità che emerge in un’azione di indagine autonoma e che non può non essere espressa. Inoltre, un bravo pittore non può mancare di stile, che deriva sia dal tempo storico che interpreta che dal luogo d’origine: un background cronologico e concettuale che è possibile riscontrare con un’attenta analisi. Infine, ed è proprio su questo terzo ed ultimo aspetto che Kandinskij spende la maggior parte delle sue riflessioni, il pittore deve essere tale in modo puro, aiutare la causa, lo scopo dell’arte che non conosce barriere, anni, nazionalità, ideologie e bandiere. Il messaggio è fortemente intriso di filosofia: l’artista è davvero responsabile, in termini di etica autentica, solo se dipinge con un occhio al proprio tempo ed alla propria espressività, ma pensa oltre ogni restrizione. L’arte è libertà ed extra temporalità, è un frammento di eternità nel quale ogni piccola pennellata è artefice di un capolavoro senza limiti e confini. Le conclusioni del libro di Kandinskij sono straordinarie: un vero artista non dà credito alle banali convenzioni del suo tempo, ma ascolta la sua voce interiore che intima attenzione e responsabilità verso gli altri uomini, specie i suoi posteri.
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Scheda del film
Regia
Alberto Sordi
Titolo originale
Finché c‘è guerra c’è speranza
Durata
116 minuti
Genere
Commedia
Data di uscita
1974
Dettagli dell’opera
Titolo
Composizione VIII
Autore
Vasilij Kandinskij
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1923
Ubicazione