Il villaggio dei mulini e il tetrafarmaco di Epicuro
Lontani dal mondo ma non per questo assenti. Vivere nascosti rispetto al progresso ed agli affanni allunga un’esistenza senza inutili dolori e dimensiona giustamente ogni fenomeno umano.
Nell’ottavo ed ultimo episodio del film dedicato alla sua dimensione onirica ed alle stagioni della vita di ogni uomo, Akira Kurosawa fa incontrare la spiritualità orientale col messaggio profondo di temi cari all’Occidente. Un visitatore occasionale s’imbatte in un villaggio anacronisticamente legato alla sola fonte energetica dei mulini ad acqua. Legno, fiori, pietra sono gli elementi che fanno da cornice ad uno scenario che non sembra del XX secolo.
L’incontro con dei bambini, impegnati a raccogliere e depositare fiori su di un macigno, anticipa di poco quello con un anziano signore, intento a riparare la ruota di un mulino. Comincia un dialogo pacato e cordiale. L’attivo abitante offre una serie di suggestive analisi.
Quel posto non ha un nome, e gli abitanti vivono anche in altri posti. Lì non c’è energia elettrica: ci si riscalda con legna secca e con sterco di vacca, senza distruggere inutilmente alberi ancora in vita, si fa luce con candele e lampade ad olio di semi di lino. La prima perla di saggezza: la gente si abitua troppo alle comodità, la vita dovrebbe operare delle scelte buone ed essenziali e non comode. L’accostamento tra quel piccolo sito ed il Giardino di Epicuro sembra palesarsi sempre di più: un luogo dove trovare riparo e rifugio dagli affanni della vita, magari dove poter dimorare occasionalmente e con una longevità che è il derivato della serenità. Si può essere felici con regole semplici e canoniche che l’epicureismo ha fornito ai suoi estimatori. Anzitutto il motto “vivi nascosto”. Non significa disinteressarsi del prossimo e di questioni collettive ma ripararsi dalla deludente ricerca nella società civile della possibilità di un’esistenza serena. Sulle sponde di quel fiume tutti si conoscono, ma ognuno non cerca nell’altro sostegno. Inoltre, la nota nozione epicurea del trovare nell’estinzione dei bisogni la felicità e non nel piacere inteso come soddisfazione di nuovi e continui desideri, si ritrova perfettamente nel discorso contro le comodità della tecnologia che non permettono di scoprire ciò che di buono c’è nel mondo. Ma la più grande delle paure annullate da Epicuro, emerge da una digressione ancora più profonda dell’anziano signore sull’ultimo appuntamento della vita: la morte. I bambini che portavano i fiori li stavano offrendo alla memoria di un viaggiatore spirato all’improvviso proprio in quel lontano paese.
La gioiosa povertà che contraddistingue da sempre i suoi abitanti ha consentito solo la costruzione di un improvvisato sepolcro. La fine dei nostri giorni non è un evento drammatico perché non avrà conseguenze negative e rientra nell’ordine naturale degli accadimenti. Quell’uomo si sta preparando per una festosa parata funebre cui partecipa l’intero villaggio. Chi vive onestamente ed ha lavorato sodo non può che ricevere un trattamento del genere: non un funerale ma una sorta di congratulazione e di congedo per la buona vita che ha vissuto.
In questo luogo, come suggerisce Epicuro, non c’è nemmeno la paura delle divinità: non c’è né un tempio né un sacerdote. La terapia al dolore di matrice epicurea è completa, ma c’è una suggestiva aggiunta.
Quell’uomo ha ben 103 anni e la musica che si ode in lontananza coi cori festosi ricorda la defunta, deceduta a 99 anni e suo primo amore. Lo abbandonò in gioventù per sposare un altro, ma l’ultracentenario è pronto col suo sonaglio a suonare e cantare: non sarà che Kurosawa ha anche sconfitto una nuova paura, quella dell’amore non ricambiato?
Parerga e Paralipomena
Storia di un errore
Se leggete la definizione di epicureo presente in un vocabolario della lingua italiana, non potrete che trovare riferimenti a due questioni ritenute centrali nella storia di questo termine. La prima è connessa alla tradizionale visione dantesca e cristiana che vede gli epicurei come negatori dell’immortalità dell’anima e come tali meramente definibili come materialisti. La seconda, che offre molti più spunti d’analisi, è relativa al carattere edonistico che contraddistingue la storia di un errore interpretativo. Epicuro non ha mai sostenuto che una vita felice è contraddistinta dalla perenne ricerca del piacere in ogni sua forma, durata ed estensione. Questa scelta, al contrario, renderebbe l’uomo infelice e mai appagato. Vivere in modo semplice e secondo minimi bisogni dovrebbe essere la necessità primaria di ogni nostra volizione per avvicinarsi non già al piacere, ma ad una dimensione di non dolore, la tanto agognata aponia, vivere senza provare dolore. Eppure, in contrasto a tale immagine, questo errore interpretativo è presente in decine di rappresentazioni che vengono offerte anche dell’epicureismo in chiave romana. Questa cattiva valutazione era nota al pittore romano Roberto Bompiani: un artista che non ha mai cercato la fama e la gloria e che donò molti dei suoi lavori. Bompiani avrebbe potuto competere coi più grandi maestri della seconda metà dell’Ottocento ma preferiva premi minori con piccole cifre a disposizione: non gli occorreva che poco denaro per vivere dignitosamente. Una denuncia di come anche nel campo pittorico molti abbiano poco chiaro il messaggio di Epicuro è presente nel suo quadro Il triclinio, che allude ad una scena tipica dell’epoca storica del passaggio dalla Repubblica all’Impero. La Roma dei banchetti di Lucullo poco c’entra col filosofo del Giardino ed è bene che tutti lo sappiano.
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Scheda del film

Regia
Akira Kurosawa
Titolo originale
Yume
Altri titoli
Sogni
Durata
119 minuti
Genere
Drammatico, fantastico, biografico
Data di uscita
1990
Dettagli dell’opera
Titolo
Il triclinio
Autore
Roberto Bompiani
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1876
Ubicazione