La vertigine del possibile
Anche l’uomo più affermato del mondo vive un senso d’insoddisfazione quando si confronta con gli scenari che la sua vita avrebbe potuto assumere. La possibilità di un miglioramento non si estingue mai e con essa anche la tristezza che ne consegue.
La storia potrebbe ridursi a poche battute. Un grande autore televisivo, un successo unanimemente riconosciuto anche nel ruolo di scrittore e di paroliere di canzoni, genio e sregolatezza in piena regola, l’incredibile vita da agente segreto che lo porterà non solo a vivere un doppio ruolo sociale ma anche ad uccidere trentatré esseri umani e ad agire d’astuzia ben oltre l’ovvia concorrenzialità che esiste nel mondo dello spettacolo. Ma questo non è abbastanza perché la vicenda presenta la continua visione di un uomo alle prese con il profondo senso d’insoddisfazione che l’esistenza può offrire a noi tutti. Non è il drammatico epilogo che nasce da una malattia che mina il fisico, ma da una più grande forma di tormento: il senso del possibile, del quale Kierkegaard è stato il primo ed il più grande indagatore. Il protagonista è lo stesso Chuck Hirsch Barris, colto nell’atto di scrivere a macchina le prime battute della sua autobiografia. L’interrogativo che aleggia in tutta la storia è ben chiaro sin dalle prime battute quando Chuck ascolta in diretta televisiva il giuramento del presidente Ronald Reagan. Ha la barba lunga, è seminudo e con lo sguardo fisso al monitor. Da giovani potremmo essere chiunque grazie a potenzialità infinite: uno scienziato come Einstein o un campione di baseball come Joe DiMaggio. Si giunge poi ad un’età in cui il possibile si scontra con quanto effettivamente realizzato e si scopre di essere una nullità. Tale concretizzazione è cinematograficamente espressa da una domestica che sta pulendo la stanza in cui si trova Barris. Al senso del possibile, il filosofo danese Kierkegaard ha dedicato gran parte della sua produzione che segue di pari passo l’intreccio delle vicende di una mente pericolosa che sta confessandosi. Sono condannato all’Inferno, sono dannato per l’eternità. Questa non è una dichiarazione di un uomo che cerca il perdono e la redenzione per aver, come lui stesso dichiara, inquinato i palinsesti di mezzo mondo dell’etere. Un’immancabile bottiglia di whiskey la fa da padrona. L’ammissione è più che altro di tipo esistenziale più che teologica. In Kierkegaard il senso del possibile è “ciò che resta tale anche se non si è verificato”. Barris avrebbe potuto essere un altro, fare di meglio, anzi qualcosa di più collimante con quanto avrebbe voluto realmente essere.
Kierkegaard chiama questo atteggiamento una “vertigine” incolmabile. La mancata concretizzazione di quanto avremmo immaginato per noi e per il nostro futuro è ben peggiore della povertà assoluta o di ogni stato possibile d’indigenza. Ma cos’è che divora Chuck e per estensione ogni uomo? La spiegazione più concreta è presente all’interno dei suoi show televisivi. Infatti Barris è l’inventore del format, una trasmissione che si adatta ad ogni contesto sociale in cui possa esistere o essere fondata una televisione commerciale. Non solo spot e promozioni all’interno dei programmi, ma vicende che hanno sempre al loro interno lo stesso tema: il possibile. Potrei trovare l’amore? Certo, ecco allora ideato “Il gioco delle coppie”.
Vorrei che qualcuno si ergesse ad arbitro delle mie vicende sentimentali? Perché allora non partecipare a “Tra moglie e marito”. Ma soprattutto e più che mai The gong show quel programma prima radiofonico e poi televisivo che in Italia conosciamo col nome de “La corrida”. Barris s’inventò un format in cui chiunque poteva solcare un palcoscenico. Al pubblico il compito di premiarlo con gli applausi o di ucciderlo idealmente dopo un gong che segnava il termine di una ridicola ed esilarante esibizione.
Potremmo essere artisti o risibili protagonisti di un siparietto, ma tanto poco importa: basteranno pochi minuti e tutti si saranno dimenticati di noi, proprio come afferma Kierkegaard nei suoi libri. A proposito di scenari possibili, mentre sta per consumare un infuso con Patricia, al secolo Julia Roberts, Chuck intravede una vita sentimentale con lei e la descrive dettagliatamente. Ma mentre immaginiamo che la zolletta avvelenata da Patricia toccasse a lui, ascoltiamo la fredda e lucida analisi del ruolo di un infiltrato, la vera natura della spietata agente segreta. In realtà scopriamo che quella possibilità sentimentale culmina in una scena dove su di un taccuino viene scritto “no love”, poiché la bevanda letale è toccata inconsapevolmente proprio alla Roberts che muore mentre Sam Rockwell si preoccupa di non lasciare prove della sua presenza in quella camera.
Un amore possibile e separato dalla morte? Anche di questo parla ampiamente Kiekegaard nel suo rapporto con la sua Regina, che gli sopravviverà per lunghi anni. Ora e più che mai è necessario spiegare cos’è il possibile. Per Kierkegaard è <<Quella “vertigine” connaturata all’uomo che deriva dalla libertà, dalla possibilità assoluta. Subentra l’angoscia quando si scopre che tutto è possibile. Ma quando tutto è possibile è come se nulla fosse possibile. C’è sempre la possibilità dell’errore, del nulla, la possibilità di agire con esiti imponderabili>>. In effetti immaginare che le conseguenze di un nostro atto siano irrimediabili ci porta ad un senso d’insoddisfazione totale, ad una “paura della paura” cioè a temere qualcosa di cui al momento non conosciamo neppure minimamente gli esiti e che non può che indirizzarci a guardare contemporaneamente sia all’indietro, verso un tempo passato, che al futuro, verso un tempo ignoto>>. Il finale? Chuck si è appena sposato.
Tra tanti festosi ospiti e presenti nella wedding chapel ve ne sono alcuni che hanno una faccia cupa e scrutatrice del suo animo, poco coerente col clima di gioia di due neo coniugi. Ora è il momento non solo di confessare alla moglie che si è un agente segreto ma, mentre la sposina stenta a credere alla storiella della Cia e ride divertita, anche di immaginare un altro format. Siamo in uno studio televisivo con tre signori anziani ed una pistola carica. Essi ripensano alla loro vita e ne fanno un bilancio, fatto soprattutto in funzione della concreta realizzazione dei loro sogni. Vincerà chi non si sparerà un colpo alla tempia. Il premio? Un frigorifero, ma se preferite il senso del possibile che non ci lascerà mai in pace.
PARERGA E PARALIPOMENA
Il quarto d’ora
Mutuando la frase di Warhol che afferma con certezza un futuro in cui tutti avranno e desidereranno il loro “quarto d’ora di celebrità” possiamo immaginare che vi siano due tendenze nell’animo umano. La prima è quella di generare per gli altri un “brutto quarto d’ora” con atti sconsiderati o assolutamente non coerenti col rispetto della vita altrui. La seconda è un duro lavoro interiore di perfezionismo, affinché quei quindici minuti possano destinare agli altri benessere diffuso, con una celebrità personale che si ottiene come derivato di un altruismo indotto. Chi è erroneamente convinto della propria artisticità, chi pensa che la propria causa sia l’unica da perseguire al mondo, chi vive per una tendenza estrema e radicale impone il proprio “quarto d’ora” agli altri muovendo azioni violente e sconsiderate. Un terrorista, un sequestratore, un uomo convinto di fare giustizia e un carrierista desiderano clamore per immortalarsi sulla pelle altrui. Un grande atleta, un filantropo e un vero artista ottengono invece un’involontaria celebrità proprio perché sono categorie umane non divorate dal senso del possibile. La loro esistenza è spesa non in funzione di una progettuale celebrità, perché questa gli capita a tiro in modo del tutto involontario. Il loro eventuale tormento è dettato da un innato perfezionismo che non consiste nel compararsi agli altri uomini, ma nel confrontarsi con un mondo ideale che sanno essere irraggiungibile ed a cui tendono. Che sia il record del mondo di salto in alto o la redazione di una poesia, il quarto d’ora che essi spendono per sé è in realtà il derivato di anni di lavoro ed è un tempo da rivivere con gioia per il prossimo, che li vedrebbe o leggerebbe all’infinito. Warhol volle trasformare il tempo del dolore nel tempo dell’immortalità a Napoli. Nel corso di una sua visita, notò che molte rappresentazioni del Vesuvio settecentesche erano irreali: un clima di pace col vulcano che fuma. La verità? Quel gigante che era solo temporaneamente addormentato poteva sprizzare energia e colore oltre che lava incandescente, caratteristica che aveva trovato in quel popolo e che lo portò a produrre centinaia di scatti iconici che lo ispirarono nell’universo della pop art.
Potrebbero interessarti anche…









Seguici su Facebook
Scheda del film

Regia
George Clooney
Titolo originale
Confessions of a Dangerous Mind
Altri titoli
Confessioni di una mente pericolosa
Durata
113 minuti
Genere
Drammatico, biografico, spionaggio
Data di uscita
2002
Dettagli dell’opera
Titolo
Vesuvius
Autore
Andy Warhol
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1985
Ubicazione