Il Medioevo, la filosofia e il popolo
Un’epoca erroneamente ritenuta buia. Un’alta percentuale di analfabeti. La forte impronta della fede e l’unicità del pensiero religioso. Temi preponderanti che la cinematografia ha reso popolari attraverso elementi iconici di un viaggio verso la Terra santa.
L’inconfondibile parlata che mescola toscanismi, latino, fonemi del volgare siciliano, idiomi umbro-marchigiani, tedesco nonché bizantinismi, rende ogni dialogo di Brancaleone da Norcia una parodia. Non un Medioevo fiabesco, ma intriso di una sorta di cultura popolare, capace di farci ridere per mezzo di immagini stereotipate e con l’opportunità di suscitare interesse storico nello spettatore. Il grande contributo a questo operato, viene anche da numerosi spunti filosofici che sono resi nella trama, come elementi di una cultura popolare e in una periodizzazione molto estesa, anche oltre l’XI secolo. Il livello d’istruzione e il lignaggio di chi s’interfaccia col prode cavaliere umbro, non sono una discriminante. Infatti, quasi tutti i protagonisti della vicenda sanno di cosa si sta parlando in ogni scena, anche se i riferimenti sono colti e non esattamente alla portata del volgo.
Con queste premesse, comincia il viaggio verso la Terra santa ha una guida spirituale: il monaco Zenone. Quest’uomo è un chiaro alter ego di Pietro l’Eremita, il predicatore del “Deus vult!”, l’animatore ed anticipatore della prima crociata che faceva leva sul popolo. Convinto che Dio voglia fortemente quella spedizione, esorta mutilati, penitenti e straccioni verso il traguardo della meta da raggiungere, anche con l’appoggio e l’enfasi di Brancaleone. I suoi sodali sostengono papa Gregorio VII. Per questo motivo, vengono attaccati dalle milizie del vescovo Spadone, fedele all’antipapa Clemente III. Brancaleone si salva in modo fortunoso, restando nascosto e illeso sotto l’imbarcazione che i pellegrini stavano trasportando a braccia. Il macabro spettacolo cui assisterà è un’esecuzione capitale collettiva che Dante ben ricorda tra le pene dell’Inferno: la propagginazione.
Nel XIX Canto sono i simoniaci ad essere condannati allo stesso supplizio. La testa viene seppellita all’ingiù in un fosso. Non solo un’atroce asfissia, ma anche il simbolico contrappasso: poiché i seguaci di Gregorio VII hanno ribaltato la verità sulla reale investitura papale, essi meritano di morire capovolti. Non resta che invocare anche per sé, cavaliere immeritatamente vivo, la morte.
Il viaggio continua con compagni sempre nuovi. Lungo la strada, la bizzarra compagnia s’imbatte in un nuovo personaggio. Il suo nome è Pattume. Questi ha commesso un peccato tanto grande da non poter essere confessato ad essere umano. Augura per sé sciagure, pene corporali e negatività per poter espiare le sue colpe. Una delle più suggestive laudi scritte da Jacopone da Todi s’intitola “Como l’anema retorna al corpo per andare al iudicio”. Le invettive che Jacopone lancia sulla sua vita terrena e sulla mancata capacità di aver sfuggito ed espiato al peccato, sono molto simili a quelle di Pattume, continuamente alla ricerca di un adeguato tormento fisico che possa farlo fuggire dalla gravità del peccato commesso. Un nano, la strega Tiburzia e un lebbroso fanno ora parte del gruppo, che su invito dello stesso Pattume si reca su di un’altura. Qui dimora l’eremita e filosofo Pantaleo.
La sua solitudine lo porta a fare domande e a dare da sé le risposte, in una sorta di autoreferenzialità che la filosofia viveva, in funzione di un rapporto stretto con le proprie necessità di accostare fede e ragione umana. Il dibattito diventa molto più serrato. Cosa vorranno quei visitatori? Vengono citate delle questioni famose. Il sesso degli angeli e la cosiddetta omousia, ovvero la consustanzialità del Padre e del Figlio, entrambi ritenuti di natura divina a partire dalle analisi dogmatiche del Concilio di Nicea. C’è un tomo per ogni argomento: tutto sta a sfogliare quei libroni. Dopo rocambolesche vicende, i nostri viaggiatori s’imbattono in un albero su cui penzolano degli impiccati.
L’unica che riesce a dialogare coi cadaveri è Tiburzia. Questo perché ha contatto con l’aldilà e, non di meno, stava per essere bruciata viva dagli stessi abitanti del paesino che hanno perpetrato quella strage. Chi sono i peccatori giustiziati? Uno scienziato anticipatore di Copernico, due amanti, adulteri, che ogni tanto si possono ancora sfiorare grazie al vento e come foglie, un goloso che ha violato il divieto di mangiare carne di venerdì, un ebreo dal naso imponente, colpevole solo di essere un giudeo. Tutte le storie brevemente narrate, sono un invito al recupero della carità cristiana, valore molto forte del Medioevo, enunciato ne “La ballata degli impiccati” di Francois Villon: se avrete pietà delle vicende dei morti, Dio avrà pietà di voi allo stesso modo. Non a caso l’impiccato che è più in alto tra tutti vede l’arrivo di una serie di armigeri: forse tra poco anche la combriccola di Brancaleone farà la stessa fine di quegli innocenti, atrocemente condannati a morte.
PARERGA E PARALIPOMENA
La morte e Felicilla
Sempre presente. Accettata, nota, invocata dallo stesso Brancaleone: la morte, la protagonista assoluta delle imponderabili vicende umane, trova terreno fertile all’interno di una narrazione parodistica sul Medioevo. Tutti i protagonisti delle vicende del cavaliere norcino hanno attitudine con la fine della vita o la evitano a tutti i costi. Il dialogo tra l’estrema nemica dell’uomo e Brancaleone è particolarmente simbolico. Non solo riecheggia la figura di Antonius Bloch. Più che mai, la morte non è fine, ma continuo tramite per un nuovo inizio. Concede del tempo a Brancaleone, per trovare una fine decorosa, ha un’intenzionalità e una coerenza con i dettami etici del tempo. Infatti, dopo il duello che vede soccombenti i cavalieri cristiani contro i Mori, la morte spiega perché sono state risparmiate sole tre teste. Quella del re Boemondo, poiché decapitare i re porterebbe sfortuna (detto per inciso, perché la morte dovrebbe temere la malasorte se non fosse umanizzata?), quella di Berta d’Avignone, troppo bella per essere recisa e quella di Thorz, soldato teutonico convertitosi all’Islam. Nobiltà, bellezza, conversione non risparmieranno certo la vita a queste persone, ma sono tre paradigmi che consentono l’intoccabilità tra gli uomini, poiché intrisi di una mistica sacralità. Il nuovo inizio è concesso a questi tre personaggi. Ma un nuovo corso, rappresentato dalla morte come fine, è anche quello della vita futura di Brancaleone. Ha assegnato progressivamente alla strega Tiburzia diversi vezzeggiativi. Se ne è palesemente innamorato. Sarà ricambiato? La risposta è sì, ed è desumibile da un gesto incredibile. Il colpo di falce dovrebbe togliere la vita a Brancaleone. Del resto i patti intrapresi all’inizio della vicenda erano proprio questi. Tiburzia si frappone e rammenta alla morte che ha avuto la vita che era stata pattuita: i conti tornano. Ora Tiburzia è pronta al suo ultimo vezzeggiativo: Felicilla. Potrà accompagnare Brancaleone verso il nuovo inizio auspicato: è una gazza, gli si posa sulla spalla e lo aiuta nello sconfinato deserto a trovare una strada. Non è casuale che anche un fiore sia simbolo di questo. Reciso, come accade con la falce per il grano, diventa un dono d’amore. Nelle tavole illustrative a colori originali de Il piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry riuscì a creare un’istantanea anche di una nuova vita dalla morte, non solo con le sue parole.
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Scheda del film
Regia
Mario Monicelli
Titolo originale
Bancaleone alle Crociate
Durata
115 minuti
Genere
Commedia
Data di uscita
1970
Dettagli dell’opera
Titolo
Illustrazioni originali de “Il piccolo principe”
Autore
Antoine de Saint-Exupéry
Tecnica
Acquerello
Realizzata nel
1943
Ubicazione