La vita è un palcoscenico
A fronte di molteplici incontri che avvengono nella nostra esistenza, la nostra vera natura viene spesso celata con una falsa immagine. Solo quando abbiamo realmente voglia di essere attivi nelle nostre azioni, siamo disposti a comparire col nostro volto dichiarando esplicitamente la nostra identità. Vivere è recitare.
La vita di un giovane spasimante irlandese, di un soldato, di un seduttore, di un avventuriero, di un disertore, di un impostore, di un abile duellante, di un baro, di una spia, di un padre dal dolore incolmabile nello scenario storico della Guerra dei Sette Anni. Questa in estrema sintesi potrebbe essere la disamina di Barry Lyndon, dove Kubrick ci fa comprendere anche più dei manuali di storia quale clima si respirasse mentre si danzava o si attende la pallottola di una pistola ad avancarica nel XVIII secolo.
L’intreccio delle vicende propone spunti suggestivi e vari, ma potrebbe essere interessante coglierne uno: l’arte della recitazione come definizione ontologica della vita stessa, in una sua codificazione nel pensiero di Erving Goffman, che ha fatto chiarezza sulle vicende che vedono coinvolto non solo Barry, ma noi tutti. La domanda di Goffman è diretta: come si comportano gli uomini quando s’incontrano, indipendentemente dal motivo per cui sono in relazione tra di loro in quel momento? È l’idea che la vita sia un gigantesco palcoscenico ad enucleare una parola chiave: la faccia. Dire qualcosa in faccia, perderci la faccia, metterci la faccia sono espressioni sintomatiche di questo profondo legame tra identità, immagine di sé offerta e percepita. Per tutta la sua vita, Barry Lyndon dovrà stare attento proprio all’immagine che vorrà dare: uomo d’armi? Persona nobile oggetto di una pittoresca rapina a mano armata ad opera di capitan Feeney?
Languido e sensuale amante? Abile pugilatore? Ognuna di queste facce gli occorre in un sistema di relazione diverso, in un enorme palcoscenico che è la vita stessa. Non a caso, lo stesso film si divide in due atti, proprio come accade a teatro: Redmond Barry che acquisisce il titolo di Barry Lyndon e come sventure e disastri poi lo affliggeranno. Dunque, se l’interazione sociale, come suggerisce Goffman, è un “dramma in maschera”, allora la cosa migliore è smascherare i nemici e pensare a delle strategie di contro smascheramento che possano salvarci: questo è ben visibile nel film. Quando Barry diserta e ruba una divisa da ufficiale è smascherato dal capitano Potzdorf che si offre di accompagnarlo, che beve e dialoga con lui, ma che sospetta sin dall’inizio di avere a che fare con un impostore e bugiardo, come lo definirà a tavola mentre lo farà arrestare e gli disvelerà che il messaggio che vuole consegnare è palesemente una scusa, poiché il destinatario è morto da dieci mesi.
Barry è stato smascherato, ha l’occasione di evitare la pena capitale diventando un soldato prussiano. Dopo aver salvato la vita al suo iniziale nemico, il teatro degli eventi è cambiato. Ecco una nuova occasione: diventerà un fedele informatore non solo di Potzdorf ma anche del ministro. Gli basterà farsi assumere come cameriere di un raffinato giocatore d’azzardo francese, lo Chevalier de Balibari, che in realtà è un irlandese e che è sospettato di essere una spia austriaca dal governo prussiano. Ma Barry ci mette la faccia, racconta tutto allo Chevalier, ne resta affascinato, forse anche perché è un suo connazionale.
Già, ma ora come salvare la faccia? Con una tecnica di contro smascheramento. I report periodici da estendere al capitano Potzdorf saranno dettagliatissimi, ma in essi confluiranno minuzie e banalità che non disveleranno il vero ruolo dello Chevalier. Tanta precisione è una maschera preziosa per difendersi, riferire i minimi particolari della quotidianità, anche secondo Goffman, non è che una strategia per non parlare di elementi sostanziali e fondativi di una persona con cui ci relazioniamo.
Parerga e Paralipomena
Mai visti prima
A partire dai primi anni del Settecento e sino alla tremenda constatazione sull’impossibilità di effettuare attacchi frontali emersa nella Prima Guerra mondiale, il modo di combattere in Europa non è mai mutato. I reparti di fanteria presentavano soldati immobili con le loro baionette, allineati, su file parallele, prossimi ad un assalto o in attesa che una palla di piombo potesse ucciderli o mutilarli. Da qui ospedali da campo di fortuna, amputazioni talvolta temute più della morte ed il ruolo strategico dei grandi generali nel motivare ed utilizzare al meglio le truppe. Una considerazione emerge dai diari dei militari francesi delle guerre napoleoniche. In quei testi si legge <<Non ci siamo mai visti prima, perché dobbiamo ucciderci?>>. In effetti questa semplice analisi è quanto di più profondo possa scaturire dalle analisi filosofiche di Goffman. Essere faccia a faccia con qualcuno e doverlo reputare un nemico perché un certo impianto ideologico ce lo ha imposto è quanto di più difficile da accettare per un animo sensibile. In effetti per uccidere e per rischiare di essere uccisi ci dovrebbe essere un motivo valido, esattamente come per ogni altro tipo di litigio. Ma questo nella storia dell’uomo è stato difficile da comprendere: la chiamata alle armi è quanto di più estremo, prioritario e necessario per chi voglia muovere la guerra. Lo sapeva bene il pittore amante del Medioevo Edmund Blair Leighton che nel suo Chiamata alle armi rappresenta un giovane appena sposatosi che non ha spazio per un evento tanto importante nella sua vita privata. Ora a chiamare è il dovere. La celebrazione che ha unito due vite e che nasce con l’intento di generarne altre, viene spezzata da ciò che distrugge e stermina le vite: la guerra.
Potrebbero interessarti anche…
Seguici su Facebook
Scheda del film
Regia
Stanley Kubrick
Titolo originale
Barry Lyndon
Durata
184 minuti
Genere
Avventura, drammatico, storico
Data di uscita
1975
Dettagli dell’opera
Titolo
Chiamata alle armi
Autore
Edmund Blair Leighton
Tecnica
Dipinto
Realizzata nel
1888
Ubicazione