Il riso sardonico e la resurrezione di fronte alla morte
Ridere non è sempre un atto immaturo e superficiale. Talvolta è la via migliore per affrontare l’irrisolvibilità e l’imponderabilità. Più che mai ridere davanti alla morte consegna un modo per vincerla da migliaia di anni.
Chi ha amato i primi due episodi della trilogia di Amici miei, ha introiettato lo spirito che Mario Monicelli volle conferirgli: cercare di ridere anche nelle situazioni più tristi. Nulla è però demenziale in questo riso, ed anche le più superficiali burle mascherano la volontà di cercare di affrontare con coraggio il dolore. Così la povertà, la difficile situazione familiare e la logica di sapersi arrangiare di Mascetti sono lo specchio non della severa immagine che ne offre il figlio di Perozzi in un suo tema, ma probabilmente l’intero impianto della sceneggiatura dei film.
Proprio Perozzi è in punto di morte, ma nel suo letto mentre gli amici di sempre sono al suo capezzale, pensa bene di prendere in giro con l’ultima supercazzola il prete che vorrebbe confessarlo.
Sempre Perozzi maschera la sua relazione extraconiugale aggiungendo il nome della propria amante tra la lista delle vittime di un incidente. In un’epoca in cui non esistevano decine di fonti dal web, l’informazione poteva anche essere una fake news costruita ad arte per la propria moglie, specie se si è dei cronisti di professione di un quotidiano. Ma il capolavoro è al cimitero delle Porte Sante, quello straordinario luogo custode di una monumentale memoria ai piedi della chiesa di San Miniato al Monte.
Senza volerlo ammettere reciprocamente, perché non è diffuso tra maschi avere il cuore tenero, gli amici finiscono per voler omaggiare Perozzi nell’anniversario della sua morte e di fronte alla sua lapide. Sassaroli scorge un vedovo.
Ora si può davvero ridere della morte, facendo percepire all’inconsolabile uomo che la defunta Adelina aveva un amore carnale proprio per lui, l’illustre medico nato da umili origini. Il vedovo è furente e comincia a distruggere quel sepolcro d’amore che lo vedeva, ora, insoddisfatto uomo tradito. Si può ridere del dolore, anche di quello più estremo, anche della stessa morte senza, per questo, apparire stupidi o irrispettosi? La filosofia antica direbbe di sì, specie se ridere è quasi un autoreferenziale specchio del male che vogliamo esorcizzare: dopo grasse risate in occasioni di festa, si legge in Omero, Ulisse è associato all’aggettivo “sardànios” per definire un’ambigua risata, scaturita dopo l’esser scampato ad una zampa di bue che gli era stata lanciata contro. Secondo un’antica tradizione, il popolo sardo sacrificava già in età nuragica a Crono i propri anziani. Una volta che superavano i settant’anni di età, questi uomini venivano precipitati da un dirupo e prima di questa triste fine ridevano del loro imminente destino con una particolare espressione facciale. Ma ridere non è una mancanza di rispetto: gli inseparabili compagni di scherzi feroci adottano senza volerlo ciò che Vladimir Propp suggerisce da grande analista delle fiabe in senso filosofico ed antropologico. Vale la pena ricordare cosa afferma del popolo dei Sardi nella sua Teoria e storia del folklore riguardo al riso: <
Parerga e Paralipomena
Il sorriso di Agostino
Pochi conoscono una bella poesia che Sant’Agostino ha voluto dedicare alla morte dal titolo La morte non è niente. Quello che colpisce è che un filosofo cristiano che è divenuto addirittura santo, abbia voluto dedicare ad un momento di solo passaggio dei versi. Chi ha fede in Cristo dovrebbe soffermarsi poco su di un mero frangente accidentale, ma colpisce la profondità con cui intende rassicurare i vivi nella commemorazione dei defunti. In particolare l’ultima strofa colpisce per le parole conclusive: << Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace>>. Dunque non solo ridere, ma anche sorridere di fronte alla morte potrebbe essere un antidoto alla sofferenza, poiché chi crede in una vita eterna vuole non solo la pace delle anime, ma anche la serenità dei vivi: niente lacrime di dolore, ma senza mezzi termini un’associazione tra amare e ridere. Prega, sorridi, pensami scrive Agostino nella stessa poesia. Che non sia un qualcosa a metà strada tra la risata sardonica ed il sorriso agostiniano quella particolare espressione facciale de La Gioconda di Leonardo? Le tesi sul volto di Monna Lisa sono decine, ma in fondo, quale migliore testamento poteva essere lasciato al mondo se non quello di un misterioso ridere?
Potrebbero interessarti anche…









Seguici su Facebook
Scheda del film

Regia
Mario Monicelli
Titolo originale
Amici miei
Altri titoli
My friends
Durata
140 minuti
Genere
Commedia
Data di uscita
1975
Dettagli dell’opera
Titolo
La Gioconda
Autore
Leonardo da Vinci
Tecnica
Olio su tavola di pioppo
Realizzata nel
1503/1506 circa
Ubicazione