Io e Annie: l’Io e la rappresentazione
La definizione del mondo col quale ci relazioniamo, potrebbe avere una sua natura universale. Che questa sia accessibile o meno al nostro intelletto, poco importa. Al contrario, la realtà che ci circonda, potrebbe essere oggetto non di una comune rappresentazione, ma di una nostra particolare forma di elaborazione individuale
Alvy Singer è definito da più persone un nevrotico, psicotico, paranoico sin dalla sua prima infanzia. Non media la realtà, vede se stesso e gli altri dall’esterno, a partire da sua madre, dal quartiere dove vive, dai propri compagni di classe, quasi tutti occhialuti come lui ed ipovedenti, non solo nel senso di visus ma anche esistenziale. Pensare a cosa sono diventati, riproiettarsi nella propria infanzia è un gioco mentale che Alvy ama fare.
Tutti i suoi problemi, non sono legati al rapporto con le donne, alla percezione della città di New York comparata al resto degli Stati Uniti, alla sua fede ebraica o all’efficacia delle terapie psicologiche cui si sottopone. Quello che è fondamentale è il suo rapporto col mondo in termini di rappresentazione. Non si sa infatti se è valida la sua lettura della realtà o quella che gli viene offerta dagli altri. Ecco che i suoi pensieri sovraimpressi, il suo parlare fuori campo agli spettatori, il suo offrire sempre citazioni colte e appropriate, sono il simbolo di un Io che sente di avere un primato rispetto ad una visione universale del reale. In questa narrazione, si scontrano due visioni filosofiche molto note di questo problema. La prima è quella della maggior parte dei suoi interlocutori. Possono essere familiari propri o delle sue partner, colleghi, amici, ex mogli, passanti. Sono tutte persone che credono in un Io simile a quello di cui ha parlato Kant nella Critica della ragion pura. La visione della realtà è unica ed è conseguentemente estendibile ad ogni individualità. Non c’è alcun salto, alcuna mediazione da fare poiché, quandanche esistesse qualcosa di superiore alla nostra rappresentazione del mondo, essa è inaccessibile. Alvy si rende conto perfettamente che la sua interiorità non è allineabile a questo principio. Una scena è particolarmente paradigmatica. In un party con la sua seconda moglie, preferisce allontanarsi da tutti per raggiungere un televisore e guardare la partita di basket tra i New York Knicks ed i Cleveland Cavaliers. Raggiunto dalla propria donna, Alvy spiega che non riesce a comprendere cosa stia accadendo. Anzitutto perché i Knicks che erano in vantaggio di quattordici lunghezze ed ora sono sopra solo di due punti.
Successivamente, spiega che ognuna delle valutazioni che ha ascoltato dai professoroni incontrati alla festa non lo soddisfa. Le sue parole sono sintomatiche: puoi essere coltissimo e non riuscire ad afferrare la realtà oggettiva. L’Io di Alvy è più che mai quello di Fichte ne La Dottrina della scienza: tra la rappresentazione del mondo che esso offre e ciò che è in realtà il mondo non vi è alcuna differenza. Esisterebbero, così, tanti mondi effettivamente dotati di senso per quanti Io che hanno consapevolezza di volergliene attribuire uno. Questo spiega la mancanza di piacere di Alvy nel relazionarsi col prossimo. Può trattarsi della prima moglie Allison Portchnik, della seconda, perennemente alla ricerca di psicofarmaci e terapie mentali o di ogni riferimento al proprio lavoro di comico. Il passaggio è sempre lo stesso, incompatibilità per la mancanza di relazione tra sé ed altri Io. A rafforzare questa convinzione c’è la conoscenza di Annie Hall. Dopo una partita di doppio misto, il dialogo passa facilmente dal tennis ad ogni fronte della vita.
L’accelerazione con la quale i due si dichiarano amore è incredibile, esattamente come la loro complicità. Pian piano, Annie disvela ad Alvy molto più di quello che in quindici anni di psicoterapia egli abbia potuto apprendere della sua spiccata individualità. Ad esempio il suo aver frequentato solo donne di New York, mentre lei è del Wisconsin, oppure il non riuscire ad ammettere la sua capacità di farsi coinvolgere verso la vita altrui. Annie canta, è in grado di fare validi discorsi su dolore e morte, ride con lui su personaggi stereotipici che entrambi notano al parco, s’iscrive ad un corso universitario mettendosi in discussione culturalmente. Tutto questo, scatena in Alvy gelosia. Proprio quando entrambi sono separatamente in analisi, lei esce metaforicamente dal proprio corpo mentre si stanno amando e in uno split screen si ascolta l’incompatibilità dei loro due Io. I rispettivi terapeuti chiedono quale sia la frequenza dei loro rapporti fisici. Il dato è lo stesso: tre volte alla settimana. Annie lo giudica continuo e soddisfacente, Alvy minimo, liquidandolo con un laconico “quasi mai”.
Ora, la loro relazione sta davvero gradualmente finendo, proprio perché i loro pensieri non sono più allineati.
Non resta che una rimpatriata, la considerazione del valore che Annie ha avuto nella vita di Alvy e la celebre barzelletta sulle uova, un’analisi sul fatto che i rapporti di coppia sono follemente illusori, ma continuano perché ne abbiamo bisogno, forse anche per affermare il nostro Io.
PARERGA E PARALIPOMENA
Si stupiva un dì un allocco
Rispetto alla questione del primato dell’Io nella rappresentazione del mondo contrapposto a quello della realtà che ha un valore indipendente dal singolo e non ha bisogno della sua rappresentazione, esistono svariate posizioni di riferimento. Ben noto è il quesito sull’albero che cade nella foresta. Se è udito, fa rumore, ma se non c’è nessun umano o animale presente, farà lo stesso un gran fracasso? Divertente è la filastrocca filosofica che Bertrand Russell realizzo per spiegare la filosofia di George Berkley: «Si stupiva un dì un allocco: “Certo Dio trova assai sciocco che quel pino ancora esista se non c’è nessuno in vista”. Risposta: “Molto sciocco, mio signore, è soltanto il tuo stupore. Tu non hai pensato che se quel pino sempre c’è è perché lo guardo io. Ti saluto e sono Dio». L’essere consisterebbe nell’essere percepito, senza tuttavia una presenza divina, esso perde di senso. Simbolicamente, Max Ernst ne La vestizione della posa, propone degli originali significati simili a questo dibattito. La testa da gufo della protagonista sottolinea la capacità della sposa di vedere al buio, tratto in comune con la dea Atena, protettrice dell’intelligenza e degli artigiani, nota per la sua saggezza) e anche con chi riesce a vedere oltre. La saggezza del personaggio della sposa consiste nel suo avvicinarsi all’amore fisico che le permetterà di comprendere l’universo in modo autonomo, di fornire, in quanto sposa ed amante, il suo personalissimo contributo alla rappresentazione della realtà.
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Scheda del film
Regia
Woody Allen
Titolo originale
Il gladiatore
Altri titoli
Annie Hall
Durata
93 min
Genere
Commedia, romantico
Data di uscita
1977
Dettagli dell’opera
Titolo
La vestizione della sposa
Autore
Max Ernst
Tecnica
Olio su tela
Realizzata nel
1940
Ubicazione